IL GAZZETTINO Domenica, 25 Febbraio 2001 "MadamaButterfly" al PalaFenice Venezia. Nella "Madama Butterfly " che è tornata in scena nella stagione della Fenice l'aspetto determinante è costituito dal segno forte e rivelatore impresso dalla regia e dalle scene di Bob Wilson, anche se sul podio c'è un direttore illustre come Yuri Ahronovitch. Si tratta della felice ripresa dell'allestimento presentato al Comunale di Bologna nel 1996, dopo che era stato per la prima volta realizzato a Parigi, all'Opéra Bastille. Mettendo in scena una delle più amate e conosciute opere di Puccini, Bob Wilson si attiene con coerenza al suo modo di fare teatro: ritroviamo la nitida e spoglia essenzialità, la radicale, raggelata stilizzazione, la gestualità antinaturalistica e rituale, l'uso determinante e mirabile delle luci. Con questi mezzi, con la sua personalissima concezione, Wilson valorizza in modo congeniale e davvero rivelatore il nucleo teatrale essenziale di "Madama Butterfly ". Lo spazio scenico è, ancora una volta, aperto, con il fondale libero per i mutamenti di luce e colore; ma è articolato dallo stacco tra una nitida pedana rettangolare di legno e una distesa color terra solcata da un sentiero di sassi. La collocazione della pedana rettangolare (e di una passerella) è spostata dopo il primo atto: è l'unico cambiamento di scena. Non c'è la casa di Butterfly e Pinkerton, e non ci sono gli oggetti scenici menzionati dal libretto: basta un gesto ad evocarli. Non c'è neppure il coltello con cui è morto il padre di Cio-Cio-San e con cui la protagonista si taglia la gola; ma il gesto fatale, semplicissimo, è uno dei più intensi e poetici ideati da Wilson. Unici oggetti scenici sono una sedia che unisce ad un nitido profilo nero da Bauhaus una gamba che sembra canna di bambù e, nella seconda parte, una roccia. I costumi di Frida Parmeggiani sono fortemente stilizzati e reinventati. Mi chiedo se vuole alludere alle differenze di religione l'aspetto vagamente da tonaca dei costumi dei due occidentali, lo stolido Pinkerton (in bianco) e il console Sharpless (in grigio). Per raccontare lo spettacolo dovrei descriverne i dettagli ad uno ad uno, e non riuscirei comunque a darne un'idea adeguata. Cito soltanto la soluzione del duetto Pinkerton-Butterfly alla fine del primo atto, l'unico momento di illusorio incontro tra due personaggi fatti per non intendersi mai: ecco perché stanno vicini sul lato destro del proscenio, ma non si guardano neppure, e sono rivolti entrambi verso il pubblico. Alla fine, al momento della rivelazione fatale e definitiva, basta a Wilson la semplice disposizione dei quattro personaggi (Butterfly , Suzuki, Sharpless e Kate) per chiarire la situazione. Si potrebbe indugiare su molti altri esempi. Il secondo e il terzo atto sono rappresentati senza interruzione: questa continuità, che appartiene alla concezione originaria di Puccini, appare ormai irrinunciabile per quel che porta con sé di tensione angosciosa, facendoci partecipare alla lunga e vana attesa notturna della protagonista. E la continuità è assolutamente necessaria al carattere rituale dell'allestimento.Il Puccini di "Madama Butterfly " ha tutto da guadagnare da soluzioni prosciugate, e ricondotte ad una raggelata ritualità: la tragedia di Cio-Cio-San non ha bisogno di sottolineature sentimentali. E lo spettacolo di Wilson si è incontrato con una interpretazione musicale incline a una spoglia sobrietà, ma in modo discontinuo. Ahronovitch sa sempre lavorare assai bene con l'Orchestra della Fenice, raggiunge esiti di grande pulizia e trasparenza, ed è propenso a tempi piuttosto rapidi, ad un prosciugamento che rischia talvolta di sacrificare troppe sfumature, ma che poi determina contrasti estremi con alcune accensioni gridate sopra le righe, con empiti di disperazione ciaikovskiana. Di qui nasce l'impressione di incoerenza, o, forse, di una scelta interpretativa portata agli estremi. Nella compagnia di canto emergeva nella parte della protagonista Chiho Oiwa, una voce giovane, non dotata di mezzi strepitosi, ma educata e sensibile, sempre persuasiva. Davvero ammirevole e impeccabile il suo comportamento scenico. Un altro giovane, José Ferrero, era un Pinkerton vocalmente un poco fragile, ma di pulizia apprezzabile, lontana dal berciare di molti interpreti di questo ingrato ruolo: gli si potevano risparmiare i dissensi alla fine. Piacevole Sharpless era Giuseppe Garra e dignitosa Suzuki Tea Demurishvili. Paolo Petazzi |
La Nuova Venezia domenica 25 febbraio 2001 "Butterfly" con purezza di Mirko Schipilliti VENEZIA. A qualcuno Puccini non piace. C'è chi vi trova lacrime troppo facili, toni esagerati, creandosi un alibi per nascondere le proprie emozioni, confondendo verità con ingenuità, tragico con drammatico. Ma c'è anche chi ama Puccini possessivamente, cristallizzandolo in immagini troppo consuete o basandosi su modelli discografici che finisce per non ritrovare mai a teatro. Diretta da Yuri Ahronovitch venerdì scorso al PalaFenice, alla guida di una brillante Orchestra della Fenice nel secondo titolo della stagione lirica 2001, Madama Butterfly è un'opera preda facile di entusiasmi esagerati o di ridicoli dissensi, situazioni opposte che spesso non hanno nulla a che vedere con le reali problematiche musicali di una sfida per l'analisi di psicologie, pressoché priva di azione, interamente concentrata sulla protagonista: non è facile trovare le verità di Puccini, scoprendone le sottili dinamiche psichiche, la particolare concezione temporale, l'astuzia costruttiva nell'uso dell'armonia e nell'architettura compositiva, le esatte necessità vocali. Ancora una volta la concertazione è l'unica vera chiave d'accesso alla teatralità delle voci, e già Verdi aveva discusso l'aspetto "sinfonico" delle opere di Puccini. L'autorevole lettura di Ahronovitch ha valorizzato la forza dell'orchestra pucciniana, la sua ricchezza strumentale, rendendone esplicito ogni ruolo, presentando uno spessore acustico impetuoso, unità e varietà nella modulazione della massa, confermando la propria inclinazione ad affermare l'intensa presenza orchestrale grazie a una corposità di suono quasi palpabile. Ma non tutte le compagnie di canto riescono a reggere una linea di questo tipo, a cominciare dal giovane tenore José Ferrero, spesso annaspante nelle vorticose tessiture strumentali, pur con pregevoli qualità vocali forse non esaudite dal ruolo di Pinkerton. Giovane anche la protagonista Chiho Oiwa, di ampio respiro, con pulizia lirica e semplici intenzioni, ricca di emozionanti atteggiamenti espressivi. Ahronovitch incolla le voci su un flusso acustico quasi inarrestabile, con rara sicurezza nel gestire orchestra e fraseggio, e grande chiarezza mentale. Non vuole indulgere in raffinatezze zuccherine, ma sceglie tempi rapidi, generando purtroppo una sensazione di fretta e concitazione estranea alla poetica di Butterfly, poiché rischia di far perdere gli apici di riferimento del discorso musicale, per non adottare atteggiamenti meditativi o introspezioni di poetica leggerezza e non soffermandosi abbastanza sul ruolo di ogni frase nel tutto, compattando invece la materia sonora alla ricerca di un Puccini comunque intenso e mai sfuggente. Regia e scene di Robert Wilson – già note, realizzate a Bologna e Parigi - riuscivano d'altro canto a penetrare delicatezza e fragilità del racconto, sfruttando appieno le possibilità espressive di luce e colore entro una scenografia essenziale, legno e pietra i materiali base, pensate con grande eleganza e ottimale equilibrio fra momenti, policromie, ombre, vuoti, distanze, gesti, integrando i bei costumi di Frida Parmeggiani. Al di sopra della media delle regie al PalaFenice, abolita ogni futile ridondanza, ecco finalmente escluse da Butterfly certe imbarazzanti ambientazioni carnevalesche, scoprendo la purezza del clima dell'opera non nell'oriente ma nella dimensione della solitudine. Ricordiamo il coro preparato da Giovanni Andreoli, la valida presenza di Tea Demurishvili (Suzuki), Giuseppe Garra (Sharpless), Enrico Cossutta (Goro), e la bravura del piccolo interprete del silenzioso figlio di Butterfly. Successo e applausi calorosi, con qualche dissenso per Ferrero da alcuni "loggionisti". Repliche ancora oggi alle 15.30 fino al 2 marzo, anche con il secondo cast. |