IL GAZZETTINO
Mercoledì 27 dicembre 2000

"Siroe" di Haendel in scena domani a Venezia
Intervista al regista Jorge Lavelli

Venezia. Con il "Siroe" di Haendel, in scena domani, giovedì, nella Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, la Fenice propone, per la prima volta, un regalo operistico di fine d'anno. Si tratta di un nuovo allestimento scenico, in collaborazione con Apollonesque e il Comitato nazionale per le celebrazioni metastasiane, di un lavoro che segna l'inizio della collaborazione tra il musicista sassone e il futuro poeta cesareo.

Haendel, tra i primissimi a utilizzare libretti di Metastasio fuori d'Italia, sceglie un testo di cui si celebrano potere e amore, conflitti dinastici e passionali. Difficile riassumere la trama del "Siroe", tra antefatti, travestimenti e riconoscimenti. Dal punto di vista scenico, a chiarire la complessa drammaturgia metastasiana, peraltro già semplificata ha Haendel che riduce drasticamente il libretto originale, è stato chiamato il regista francese Jorge Lavelli . E con lui chiacchieriamo durante una pausa delle prove.

Che cosa rappresenta per lei quest'opera barocca?

"È soprattutto l'occasione per riscoprire un rapporto diverso con il pubblico. Ambientando il "Siroe" nella Scuola Grande di San Giovanni, ho pensato di iscrivere nello spettacolo le 180 persone che ogni sera seguiranno il melodramma. L'opera di tradizione si proietta dal palcoscenico verso l'esterno, in questo caso, invece, il pubblico diventa testimone diretto delle diverse prove che i protagonisti sono chiamati a superare. I dolori, le passioni, gli amori dei personaggi vengono dunque condivisi dal pubblico".

Mi sembra di capire che in questo caso tutto diventerà scena.

"Certamente. Anche l'orchestra occupa uno spazio dell'azione. La trama, complessa, viene così chiarita al meglio. Ogni cosa è raccontata dalla sensibilità dei personaggi che, recitando in mezzo al pubblico, sono psicologicamente trattati come al cinema. Anche lo sguardo diventa fondamentale".

Ha individuato elementi di attualità nel "Siroe"?

"È una storia di potere e amore, con silenzi obbligati: Siroe sa che la sua amante deve uccidere per vendetta il padre, ma non può parlare. Tutti i personaggi hanno lati oscuri, ma sono parte di un'unica famiglia. Le situazioni sono quelle di sempre, fatte di intrigo e potere. In questo caso, però, sarà il popolo, che pur non si vede ma del quale si avverte la presenza, a determinare l'esito finale".

Lei si è occupato molto di teatro di ricerca, di repertori contemporanei. Che cosa si ritrova di questa esperienza nel suo ritorno, dopo una lunga pausa, al teatro musicale?

"Credo la capacità di trasformare in spazi teatrali luoghi alternativi, di saper utilizzare ambienti diversi, ma senza rinunciare a dare un senso a quanto accade, a chiarire e rendere vero ciò che avviene sulla scena".

Mario Merigo