IL GAZZETTINO Prima italiana dell'opera che Händel compose su testo di Metastasio Per la Fenice uno dei migliori spettacoli dell'anno Venezia. Alla Scuola Grande S. Giovanni Evangelista la Fenice presenta fino al 4 gennaio uno dei migliori spettacoli dell'anno, "Siroe", la prima opera che Händel compose su testo di Metastasio, quasi mai rappresentata in tempi moderni, così che la primizia dell'allestimento veneziano ha richiamato un pubblico internazionale (con un grande successo alla fine). L'occasione di riportare sulle scene quest'opera di Händel, rappresentata a Londra nel febbraio 1728, si lega anche al terzo centenario della nascita di Metastasio.Händel fu tra i primi a musicare il fortunato secondo dramma metastasiano, "Siroe", subito dopo Vinci (Venezia 1726), Porpora (Roma 1727) e Sarro (Napoli 1727), e prima che il viaggio in Italia del 1729 gli consentisse di conoscere e assimilare i caratteri della nuova scuola operistica italiana. Lo attirò un testo che presentava conflitti tremendi, anche se risolti da un lieto fine in cui i malvagi si pentono e i buoni trionfano. La situazione iniziale ricorda quella del "Re Lear", con Cosroe II, re di Persia, che intende privilegiare l'ambizioso e ipocrita figlio minore, Medarse, calpestando i diritti e la popolarità del valoroso e virtuoso Siroe; ma decisiva per rendere la vicenda intricata, affascinante e densa di situazioni ambigue è la presenza di Emira, figlia di un re sconfitto e ucciso da Cosroe, di cui diventa ministro, travestendosi da uomo per vendicare il padre, ma anche perché ama, corrisposta, Siroe. A lui solo sono noti il travestimento, il conflitto interiore e i feroci propositi di Emira, ed egli non sa come salvare Cosroe senza tradire il segreto, tanto più che la bella Laodice, innamorata invano di Siroe, è pronta per ripicca a calunniarlo. Siroe è sempre costretto a tacere, Cosroe lo ritiene colpevole dei più nefandi tradimenti e vuol farlo uccidere; ma l'innocente è salvato dalla amicizia del generale che dovrebbe eseguire l'ordine. Facendo adattare il dramma metastasiano da Nicola Haym Händel ne ridusse all'osso i dialoghi destinati ai recitativi, eliminando o sostituendo alcune arie, in modo da dare il massimo risalto alle tre stelle del suo teatro, il castrato Senesino (Siroe), e le due prime donne rivali, Francesca Cuzzoni e Faustina Bordoni (Laodice e Emira). Non ci sono eccezioni alla alternanza tra recitativi e arie (con il "da capo", cioè con la ripetizione della prima parte dopo una sezione centrale) su cui si basa la struttura dei drammi per musica di Metastasio, e quindi tutto l'interesse musicale si concentra nella varietà e ricchezza di invenzione delle arie, che, pur con qualche inevitabile discontinuità qualitativa, sono spesso un prodigio di fantasia e, al di là delle situazioni predisposte dal testo, riescono ad individuare alcuni lineamenti dei personaggi.Tutto ciò aveva un grande risalto musicale e teatrale nello spettacolo veneziano. Il regista Jorge Lavelli con la collaborazione di Lauro Crisman per le scene e di Francesco Zito per i costumi (moderni, ma sostanzialmente atemporali), fa svolgere l'azione nella parte centrale della sala rettangolare, in mezzo al pubblico (collocato ai due lati) e davanti ai musicisti della Venice Baroque Orchestra, diretti da Andrea Marcon e disposti su un palco circolare nero, con due ripidi praticabili rossi ai lati. Lo spazio insolito e il coinvolgimento di pubblico e musicisti apparivano anch'essi in funzione della tesa evidenza che la regia conferiva ad ogni situazione, ad ogni conflitto, ideando inoltre una ricca varietà di intelligenti soluzioni per dare un senso teatrale alle ripetizioni caratteristiche della forma delle arie. Va sottolineata la bravura, la preparazione e l'intelligente disponibilità di tutti i cantanti nel superare le difficoltà che le esigenze della regia creavano: hanno colpito particolarmente Patrizia Ciofi (Emira) e Valentina Kutzarova (Siroe ) per la espressività, la sicurezza, e le qualità vocali; ma si sono fatti molto ammirare anche Jaho Ermonela (Laodice), Lorenzo Regazzo (Cosroe), Roberto Balconi (Medarse) e nei suoi brevi interventi Dario Giorgelé. Intensa ed incisiva la direzione di Andrea Marcon e ottima la prova del suo complesso. Paolo Petazzi |
La Nuova Venezia La prima opera di Händel su libretto di Metastasio Grande spettacolo oltre le consuetudini Regia coraggiosa e pulizia musicale a S. Giovanni Evangelista di Mirko Schipilliti VENEZIA. La linea di ricerca della Fenice nell'ambito di Civiltà Musicale Veneziana non si è smentita con Siroe, prima opera di Georg Friedrich Händel su libretto di Metastasio, allestita in collaborazione con il Comitato Nazionale per le celebrazioni del Terzo Centenario della nascita di Metastasio e con Apollonesque, insieme a cui dovrebbero seguire altre due coproduzioni di opere barocche. Fra le proposte più interessanti della Fenice negli ultimi anni, attese erano la direzione musicale di Andrea Marcon, specialista nel repertorio barocco alla guida della Venice Baroque Orchestra, e la regia di Jorge Lavelli, che nel suggestivo scenario della sala alla Scuola Grande S.Giovanni Evangelista ha visto una sfida per una rappresentazione al di fuori delle consuetudini. La difficoltà d'integrare adeguata acustica, scena e pubblico non è di facile soluzione nell'ambiente della Scuola, non pensato in origine per una messa in scena operistica. In prima rappresentazione in tempi moderni, Lavelli svolge il Siroe in forma semiscenica, con pochissimo arredamento, o meglio sfruttando astutamente la scenografia intrinseca alla stessa sala, copre le tele alle pareti, scoperte solo con lo scioglimento finale, apre il dibattito su quale possa essere la migliore coerenza stilistica di un allestimento in ambiente d'epoca. Non c'è palco, i cantanti, attualizzati in costumi d'inizio '900 (unico scollamento rispetto alla sala e al rigore filologico con cui fluisce la musica su strumenti originali) si muovono in mezzo al pubblico che li circonda, si confondono con esso, raggiunti talvolta da direttore e musicisti, pure al centro, in un'unità comunicativa totale. La regia si concentra sempre sui personaggi in primo piano, imbrigliati in conflitti reciproci, è agile, fervendo di continuo movimento e gestualità, aiuta il pubblico stesso a concentrarsi, senza distrazioni, nonostante le problematiche d'ascolto legate alle posizioni delle voci, che volgendo le spalle a una parte di pubblico rompono a tratti la continuità acustica delle linee del canto. Ma un Siroe di grande pulizia emerge dalla splendida concertazione di Andrea Marcon: coerenza, dinamismo, congrua caratterizzazione stilistica. Marcon ha idee molto chiare su ogni nota: tutto è risolto in una lettura luminosa, guidando sapientemente le energie interpretative, plasmando plasticamente le masse acustiche, coordinando le forze con finalità meditata, nulla al caso. Pregnante conduzione ritmica, meticolosa precisione esecutiva, accurata selezione e distinzione del fraseggio sopra una sorprendente trasparenza di armonie, basso continuo e impasti strumentali, sostengono una tensione sempre viva in perfetto accordo con la scena. Lì brillano le valide voci di Lorenzo Regazzo, con profonda intensità, ben calato in un personaggio serio; Jaho Ermonela, che dimostra pienezza di risorse vocali, slancio e ricchezza di dinamiche; Patrizia Ciofi, in un'ardua parte sciolta con chiarezza espositiva e di fraseggio; Valentina Kutzakova, Siroe espressivamente completo. Ricordiamo Dario Giorgele, la sorprendente agilità controtenorile di Roberto Balconi, la scena di Lauro Crisman e i costumi di Francesco Zito. Lunghissimi applausi e ovazioni, prossime recite esaurite. Auspichiamo un'edizione discografica di questo allestimento. |
La Repubblica mercoledì 3 gennaio 2001 E Venezia applaude il mancato re Siroe in lotta con il padre Alla Scuola Grande di San Giovanni il nuovo allestimento del Teatro La Fenice. Un’opera mai rappresentata in Italia di DINO VILLATICO VENEZIA — Alle pareti della sala superiore della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, i quadri dipinti dal Tintoretto con episodi della vita di San Giovanni sono coperti da immensi drappi color ciclamino. Sulla sinistra, entrando, c’è il palco dell’orchestra, sul quale sono sistemati i musicisti della Venice Baroque Orchestra diretti da Andrea Marcon. Gli altri tre lati sono occupati dalle poltrone del pubblico. In mezzo si recita e si canta il bellissimo Siroe di Haendel. Il libretto glielo fornisce il solito Nicola Francesco Haym, tagliando e ricucendo il dramma che Metastasio aveva mandato in scena a Venezia nel 1726, con musiche di Leonardo Vinci e nel 1727 a Roma con musiche di Nicolò Porpora e a Napoli con musiche di Domenico Sarro. Dopo il successo del 1724 con la Didone abbandonata, con questo suo secondo dramma Metastasio colse un vero e proprio trionfo e diventò il drammaturgo più ricercato d’Europa. Subito, già nel 1728, se ne appropria Haendel, che intuisce e coglie splendidamente la novità della drammaturgia metastasiana: portare sulla scena non più coreografici miti o oleografiche storie, bensì conflitti di passioni, con uno stile essenzialmente tragico, ma che non disdegna i toni della commedia. E’ una lingua nuova che si sente a teatro, per certi aspetti più nuova perfino di quella del Goldoni: bisognerà aspettare Pirandello per riascoltare una lingua così moderna sulle scene italiane. Il nucleo drammatico del Siroe è costituito dal conflitto tra il re persiano Cosroe e suo figlio Siroe. Il re sceglie a succedergli sul trono il figlio minore Medarse. La figlia di un re sconfitto, Emira, venuta a vendicare, travestita da uomo, lo sterminio della propria famiglia, ma innamorata di Siroe, e la principessa Laodice, amata da Cosroe, ma anche lei innamorata di Siroe, completano le tessere del gioco teatrale delle passioni in contrasto. E proprio un gioco mette sotto gli occhi degli spettatori il regista argentino, ormai stabilmente francese, Jorge Lavelli. Un gioco in abiti moderni, sotto le volte barocche della Scuola di San Giovanni, personaggi che sembrano pedine di scacchi in una perpetua sfida la cui posta è la vita. Finalmente il ciarpame realistico è spazzato via, e il dramma acquista una violenza espressiva, inusitata sulle scene italiane. Spettacoli così si vedono a Berlino, a Parigi, a Barcellona, ma raramente in Italia. Naturalmente grande parte della forza di cattura della rappresentazione è dovuta alla musica che non si può che chiamare sublime di Haendel. Ma poi questa forza è sostenuta con intensità e straordinaria bravura da tutti gli interpreti, a cominciare dal direttore e concertatore Andrea Marcon. Siroe è un’intensa Valentina Kutzarova, Cosroe un magnifico Lorenzo Regazzo, Patrizia Ciofi disegna con efficacia mirabile le contraddizioni di Emira, Jaho Ermonela presta la sua bella voce e la sicurezza del suo canto alla passione di Laodice, il controtenore Roberto Balconi è un perfetto Medarse e l’Arasse di Dario Giorgelé completa degnamente l’affiatatissimo cast. Una volta tanto si vedono figuranti comportarsi in scena come si deve. Belle le luci di Fabio Barettin. Bellissimi i costumi di Francesco Zito. Lauro Crisman ha realizzato gli elementi scenici che circoscrivono lo spazio teatrale, facendo risaltare l’architettura della sala. Naturale che alla fine scoppino fragorosi gli applausi. Haendel si rappresenta così poco da noi e quasi mai con una tale invenzione di soluzioni sceniche affidate alla sola recitazione e con un tale professionismo. |
il Sole 24 Ore Händel peccaminoso in Laguna di Carla Moreni Che palati fini aveva il Settecento, che predilezione sottile per gli argomenti piccanti, le situazioni ambigue, il fraintendimento o la maschera portati a solleticare tentazioni proibite. Si ascolti, ad esempio, l'intreccio del Siroe, Re di Persia, opera di Georg Friedrich Handel - su libretto di Nicola Haym, da Metastasio - in scena al King's Theatre di Londra nel febbraio del 1728 e ripreso magnificamente in questi giorni a Venezia, per il primo allestimento in tempi moderni, sotto l'ala del Teatro La Fenice. Due castrati (intesi come tessitura vocale) si contendono l'eredità al trono: sono fratelli, e il sipario si apre sull'annuncio del re, loro padre, di concedere la corona non al primogenito, come d'uso, bensì al secondo. La storia, tutta in un interno - regge le tensioni di tre atti di teatro, tre ore di musica che vola - si tende su una famigliola così composta: padre vecchio, con amante giovane; lei che brama il primogenito, una donna in realtà, non essendoci più i castrati; questa a sua volta presa da un'altra, travestita però da uomo per uccidere il re. I baci scorrono, proibiti e voluttuosi, mentre finzione, realtà, necessità vocali e provocazioni teatrali si intersecano e confondono, in anticipo sulla psicoanalisi e sui film di Bergman. Il regista francese Jorge Lavelli, che firma la nuova produzione (già ampiamente prenotato all'estero, fino in America, coprodotta con "Apollonesque", associazione di mecenati di New York patiti del barocco) porta il Siroe negli spazi elitari della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista: un'aula rettangolare, tredici metri per trentaquattro, quasi duecento posti. Gli ospiti fortunati siedono da coprotagonisti intorno agli interpreti - quasi coro greco, muto; è richiesto l'abito scuro, per fare macchia nera - mentre la ventina di elementi, eccellenti, della Venice Baroque Orchestra diretti da Andrea Marcon, sono ospitati al centro della sala, in una prua fasciata da due pedane a scivolo, rosso intenso. Quasi il materializzarsi di una gondola, a sfondare una delle due pareti, coperte di vele ocra, che solo nel momento della felice risoluzione finale verranno ammainate, sul girotondo un po' naif degli interpreti. Lo spettacolo profuma di Settecento veneziano e di mare, ma in realtà veste abiti di foggia classica, disegnati da Francesco Zito, estremamente eleganti e studiati nei minimi dettagli. Si possono ammirare, perché tutto è a misura di mano, nell'impianto scenico progettato da Lauro Crisman, dove gli interpreti non si risparmiano nel farsi largo tra le sedie degli spettatori, fissati a uno a uno negli occhi, e soprattutto interrogati da quei versi sublimi e così moderni di Metastasio. Il comitato nazionale per le celebrazioni del terzo centenario della sua nascita - che ha collaborato all'allestimento - e la casa editrice Olschki, che ha concesso in anteprima il libretto, non potevano rendergli onore in modo migliore. Vince Metastasio, e vince Handel. Marcon e Lavelli chiedono alla compagnia ben assortita, anche sotto il profilo dell'identificazione teatrale, di sbalzare con grande pregnanza i Recitativi, e nelle Arie di enfatizzare sempre la corda drammatica, più che quella prettamente pirotecnica. Siroe si staglia così come attualissimo specchio di conflitti esistenziali, messi in luce dalle qualità vocali degli interpreti, capeggiati dalla risoluta Patrizia Ciofi, uno scricciolo virtuoso, nel ruolo "en travesti" di Emira e da Lorenzo Regazzo, splendido negli oscuri dubbi del padre. Siroe è una misurata Valentina Kutzarova; il fratello, Medarse, ha la naturalezza controtenorile di Roberto Balconi. Jaho Ermonela unisce bellezza di forme e di canto e Dario Giorgelé col suo timbro autorevole porta al nobile sciogliersi del finale. L'Orchestra barocca di Venezia (da ascoltare il loro recente cd delle Quattro stagioni) aiuta e sostiene voci e storia col diapason più basso, la sonorità opaca delle corde di budello, ma soprattutto con la varietà delle inflessioni ritmiche e la sfrenata fantasia negli accompagnamenti. Siroe, Re di Persia di Georg Friedrich Handeldirettore Andrea Marcon, regia di Jorge Lavelli Venezia, Scuola Grande di S. Giovanni Evangelista, 2 e 4 gennaio. |
il Giornale della Musica Siroe riavvicina pubblico, di Alessandra Morresi È la volontà di realizzare un esperimento a dare forma al "Siroe, re di Persia" di G. F. Händel, andato in scena, per la prima volta in tempi moderni, ieri sera a Venezia: vivificare i rigidi schemi del melodramma settecentesco restituendo allo spettacolo il dinamismo del teatro vero e proprio. Così nella regia di Jorge Lavelli i tredici metri per trentaquattro, che racchiudono la sala rettangolare della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, hanno accolto sullo stesso livello pubblico cantanti e orchestra, secondo una disposizione che ha permesso il crearsi di più traiettorie di recitazione, in costante collisione con la dimensione degli ascoltatori, ma anche dell'orchestra, divenuta "coro"; all'annullamento della distanza scena - sala ha poi contribuito la scelta dei costumi, cuciti secondo una moda vagamente primi novecento. Riaperta la comunicazione tra spettacolo e spettatore, e questa iniziativa giova soprattutto ai recitativi che si riappropriano del loro contenuto di azione, la rappresentazione si fa più energica, più viva appunto, dotata ora di un senso anche drammaturgico. Nel rinnovamento la musica tuttavia rimane rigorosamente fedele a sé stessa, tanto da rendere quasi paradossale il suo accostamento ad un allestimento così "vicino" a noi. Se infatti costumi e gesto poco hanno a che fare con la misura del primo '700 inglese, a riaffermare quell'età restano comunque le forme e la sonorità della musica di quel tempo: da un lato il rigido strofismo delle arie, unito allo stile vocale arduo ed inclemente che gli interpreti hanno domato con bravura, Jaho Ermonela (Laodice), Lorenzo Regazzo (Cosroe) sono state forse le voci di spicco; dall'altro il timbro ricostruito filologicamente dalla Venice Baroque Orchestra che sotto la direzione magistrale di Andrea Marcon ha fornito una performance di altissimo livello, con una sempre ottima scelta degli stacchi di tempo ed un senso della sonorità che ha restituito a pieno la bellezza della musica di Haendel. Esperimento riuscito? Sì, se questo è servito a rompere le rigide divisioni recitativo - aria; grande successo di pubblico. Siroe, re di Persia Opera in tre atti di Georg Friedrich Händel libretto di Nicola Francesco Haym dal libretto di Metastasio nella versione riveduta per Napoli (1727) prima rappresentazione: Londra, King's Theatre, 17 febbraio 1728 Edizione Olschki Scuola Grande S. Giovanni Evangelista, 28 dicembre 2000 |