CORRIERE DELLA SERA
domenica, 27 febbraio, 2005

ELZEVIRO
Donna di Picche Ma con Stile

Un' edizione memorabile grazie alla direzione di Temircanov

Ciaicovski alla Scala. Un Conclave, se non imminente, è prossimo. Ricorderò quello donde sortì Romano Pontefice Pio X. Venne eletto il cardinale Mariano Rampolla dal Tindaro. Il cardinale Puzyna, arcivescovo di Cracovia, interpose il veto imperiale, strascico medievale privo di forma e sostanza. Rampolla, per non dividere la Chiesa, rinunciò prendendo la parola col celebre incipit: "Vehementer dolet (nobis)". (I preti, allora, non erano ancora ignoranti e parlavano latino). Ricorriamo al medesimo a esprimere il nostro sentimento per il fatto che La Donna di Picche, uno dei capolavori del Teatro Musicale, debba andare in scena in mezzo alla tetra Operetta, ossia rappresaglia, tentata dai dipendenti della Scala.

Una Donna di Picche in un' edizione memorabile, non fosse per talune critiche che muoveremo all' allestimento scenico. Per intanto, la Scala impari a tradurre rettamente il titolo dell' Opera: in italiano la carta si chiama Donna, non Dama, come in Francese "Reine", non "Dame". L'episodio del grande Porporato suggerisce peraltro una considerazione incidentale. Quel jus vetandi di che si servì un cadavere storico come l' impero d' Austria venne subito abolito da Pio X. Ciò che il Batiushca, il Piccolo Padre, non osò contro il maestro Mravinski, ripeto; ciò che un Santo proibì a un, diciamo così, Imperatore: alcuni dipendenti vogliono impedire al maestro Muti, esercitare l' ufficio suo. Peraltro s' è agito con una prontezza tattica. La Scala ha tolto dal cartellone il dittico Hindemith-Corghi lo sciopero contro il quale doveva costituire rappresaglia ad personam contro Muti, rimandandolo alla prossima stagione. Non si provano in condizioni siffatte partiture così delicate. Ecco spuntata quella che i protestanti ritenevano l'arma formidabile. Ecco anche la risposta alle voci di "disinformazione", tattica Ochrana poi KGB, fatte circolare tra la tarda serata e la nottata, che il maestro Muti si fosse dimesso. Non si dimetterà, giacché esiste pur un confine fra la bontà, l' interno laceramento e la pura cretinaggine.

Il vero danneggiato dalla situazione in corso è innanzitutto il sommo Pietro, non quello della cathedra ma di ben più alta Cattedra titolare, Ciaicovski; nonché il suo attuale ambasciatore presso di noi, il maestro Iuri Temircanov, concertatore e direttore della Donna. Confermo quanto facilmente profetizzato, non esser possibile oggi trovarne lettore paragonabile; vieppiù attese le condizioni nelle quali è costretto a lavorare. Incomincio con la conclusione del giudizio da darsi su di lui: egli possiede supremamente il dono dello Stile. Con ciò non s'intende una presunta tradizione interpretativa autentica. Stile in senso stretto: la capacità di asciugare con suprema eleganza il sentimento, che suoi colleghi, data l' intensità del linguaggio di Ciaicovski, trasformano in sentimentalismo. Il pathos erotico spinto all' estremo; l' inferno vivo entro l'animo di due personaggi, Hermann e la diabolica Contessa: non vengono urlati, piuttosto sussurrati, e s' imprimono maggiormente in chi ascolta. Non credo udremo più una Donna così. Quest' Opera pone peraltro lo Stile quale premessa fondamentale della sua essenza: per via della perversa raffinatezza onde è intessuta di musica settecentesca autentica e rielaborata e altra fabbricata dallo stesso Autore. Il dominio stilistico di qualcosa che sta fra un' immagine e la sua riflessione come in uno specchio è di pochi. L' eleganza con la quale Temircanov, nella Pastorale del II atto, ti fa percepire Rameau, un neo-Cimarosa, un neo-Paisiello, etc; nell' introduzione allo stesso un calco mozartiano perfetto (Idomeneo, Finale I), è senza paragoni. Quando poi accompagna la Romanza di Gretry della vecchia diavolessa, il tempo e le esitazioni adottate fanno d' un' innocente melodia l' immagine stessa dell' Inferno come suprema tristezza: ricordo che negli occhi del Lucifero di Tasso. Grande interprete del brano è Elena Obrazova, che ricorre coraggiosamente a risonanze ventrali per dipingere l' infamia del personaggio. Non dimenticheremo tuttavia, in ordine alla Contessa, di rivolgere il nostro omaggio a Raina Cabaivansca e alla somma Magda Olivero. Fuor di questo, la tecnica direttoriale di Temircanov, il gesto apparentemente semplicissimo, è stupefacente. Egli trasforma il timbro dell' orchestra della Scala e può farlo in breve tempo grazie al suo amico Muti che gli forgia uno strumento così duttile.

Il regista, fornito di mestiere formidabile, è Stephen Metcalf. Gli rimprovereremo la contaminazione di epoche sicché, Pastorale a parte, i personaggi sono abbigliati da Jamie Vartan, economico bozzettista, giusta l' epoca in che l' Opera fu scritta, non in che si svolge. Atteso il valore dello Stile che ne è alla base, questo è errore di ortografia, non di grammatica. Raffaella D'Ascoli e Julia Gertseva interpretano tale Pastorale con bella voce e stile; il terzo protagonista di essa è il fondamentale Tomski, impersonato da Vladimir Vaneev: non bella voce ma grande personalità. Polina, Julia Gertseva, canta deliziosamente la sua Romanza. Così Dmitri Hvorostovski, che in Russo fornisce prestazioni di ben altro livello che in italiano. Hermann, Misha Didyk, è un vero tenore lirico spinto e un grande attore; Lisa, Dagmar Schellenberger, è così fine dicitrice che gli spazi degli Arcimboldi sono forse ampi per lei: ma non pensa così chi ha cuore e, in sé, un po' di musica.

Paolo Isotta

 

Il Giornale della Musica
7 marzo 2005

Temirkanov gioca la Dama di Picche e vince

Il soprano va a prenderlo in quinta, lui entra salutato da un boato di urla e applausi, attraversa velocemente tutto il proscenio indicando ora l'orchestra ora i cantanti schierati, e in pochi secondi esce dalla quinta opposta. Non si ricordava un direttore più schivo agli Arcimboldi; eppure è stato lui il trionfatore della serata, con il suo gesto asciutto, concentrato su tempi, ritmi e piani sonori, senza mimiche plateali. La bravura di Yuri Temirkanov nello scatenare quelle salve di ripercussioni che sono i meccanismi dell'orologeria ansiogena di Cajkovskij non ha eguali, e si è rivelata in tutta la propria forza nel lancinante mormorìo orchestrale del preludio al terzo atto: un ritratto purissimo e raffinato della nevrosi divorante che domina l'intera opera. In quello stesso atto conclusivo avrebbe dato il meglio di sé Vitali Taraschenko, partito in difficoltà ma cresciuto nel corso della recita fino a un finale di straordinaria forza emotiva. Accanto al suo Hermann, votato sin dall'inizio alla durezza e all'allucinazione, si muoveva una Liza inquieta, fragile e passionale ben cantata da Elena Prokina; i due sembravano non incontrarsi mai, ognuno perso nel proprio delirio. Straordinario nella raffigurazione dell'equilibrio e delle virtù aristocratiche il Principe di Hvorostovsky, con l'eleganza dei suoi fiati perfetti, con quel controllo totale dei mezzi espressivi che ha potuto sfoggiare nella grande aria del secondo atto. Bravissima anche Tatiana Erastova, capace di cogliere sia il mistero e l'eleganza, sia la vena di grottesco che attraversano il difficile personaggio della Contessa, con le sue arie di Grétry e il suo accento d'antan. Di ottimo livello anche il resto della compagnia, ma una menzione particolare va fatta per il coro; voci bellissime, omogenee e ritmicamente sicure, capaci di un corale finale, dal fondo del palcoscenico, di rara intensità ed eleganza. Allestimento curato ma privo di idee memorabili, di Stephen Medcalf; bellissimo il teatrino di corte escogitato da Jamie Vartan, molto meno l'apertura dell'opera, con quel brutto fondale bianco, poco migliorato dalle luci tagliate col coltello da Simon Corder; per non parlare delle statue viventi "alla Compton House" del primo e secondo atto.

Sergio Bestente

 

delTeatro
4 marzo 2005

Milano, Teatro agli Arcimboldi
Pikovaja dama (La dama di picche)

di piero gelli

La prima è saltata. Sarà stato per questo che la sala dell'Arcimboldi era quasi esaurita. Non capita quasi mai. Accanto me due coniugi russi, dall'aria soddisfatta e godereccia, che mantengono fino alla fine, a tal punto che per gli ultimi quaranta minuti la signora si è dolcemente assopita, con un filo sottile di russamento quasi simpatico, come il fruscio di un vecchio disco di vinile. Noi invece, svegli come grilli, e commossi. La dama di picche, o come si dovrebbe più correttamente scrivere La donna (così bacchetta Isotta dalle pagine del Corriere) è insieme all'Eugenio Onegin l'opera più nota di Caikovskij, ma estremamente più complessa e profonda della prima, anche per la stupefacente varietà di una partitura, che si spinge fino al pastiche e che gioca abilmente tra l'intimismo più tormentato e la spettacolarità più estrosa.

All'inizio, la critica sembrò non perdonare al compositore non tanto l'aspetto musicale quanto la spudoratezza dei due fratelli Caikovskij (Modest è l'autore del libretto) riguardo al racconto di Puskin. Effettivamente, tra il rattenuto romanticismo di Puskin e l'effuso decadentismo del musicista, l'intesa non poteva riuscire che attraverso un tradimento. Che concerne il protagonista, Hermann, e da cui discendono tutti gli altri. Contrariamente alla novella puskiniana, Hermann ama veramente Liza, è dilacerato tra la passione insana del gioco e quella per la ragazza. E la storia si conclude con un duplice suicidio: Liza si getta nel Canale d'Inverno, Hermann si spara al cuore (in Puskin, più uomo di mondo, se il protagonista impazzisce, la ragazza si consola sposandone un altro).

Ora, una materia così tragica, così densa di emozioni, ha nell'opera caikovskiana un riscontro di levità, di eleganza e naturalmente di pathos che manca, per esempio, nelle composizioni sinfoniche. È come se Caikovskij qui avesse sentito il bisogno di frenare la sua disposizione al lirismo più nevrotico con una necessità di equilibrarlo con una grande sapienza musicale ed eleganza stilistica: lo provano certi richiamo mozartiani, l'apertura alla contaminazione tra opèra-lyrique e opèra-comique (per esempio nel divertissement pastorale ecc.) e, in genere, tanti stupendi indimenticabili momenti dell'opera. Yuri Temirkanov, che dirigeva senza bacchetta, con un'aria compassata e stiff davvero poco slava, è parso unanimamente prodigioso nel rendere con perfetta fusione l'intensità e varietà della musica caikovskiana, abilissimo nell'attenuare il pericolo del patetismo, sorreggendolo dentro una raffinata fermezza, che accentuava la verità passionale dei protagonisti. Da ricordare quindi alle signore scaligere che non esiste solo Gergiev ("Gergiev, un'altra cosa", mormorava una dama di fiori nel freddo foyer dell'Arcimboldi; bisognava chiederle quale).

I cantanti tutti bravi o bravissimi; da ricordare il giovane tenore, Misha Didyk, quale protagonista; un tantino esile forse la Liza di Dagmar Schellenberger; un filo di nostalgia, per chi la ricorda in Strauss, per l'Obratzova, del resto inappuntabile contessa. Quanto al regista Stephen Medcalf, ha spostato e contaminato varie epoche tra il Settecento e il tempo di Caikovskij, come ormai si usa fare, ma ha anche dimostrato di saper muovere gli attori e di risolvere egregiamente alcuni snodi drammatici.

 

l'AVVENIRE
4.3.2005

Quando la Scala è solo musica

Sono giorni, questi, molto "caldi" per il Teatro alla Scala: grande fermento tra i lavoratori per la revoca del mandato al sovrintendente Carlo Fontana. Ma è stata anche una settimana all'insegna della grande musica grazie al maestro Yuri Temirkanov, a Milano, per la "Dama di picche" di Petr Il'ic Cajkovskij e un concerto alla guida della Filarmonica della Scala.

Due appuntamenti accolti con successo dal pubblico, felice, dopo tante polemiche, di poter ascoltare solo musica. Andiamo con ordine. Venerdì ha debuttato il nuovo allestimento della "Dama di picche" che la Scala, oltre alla bacchetta di Temirkanov, ha affidato alla regia di Stephen Madcalf, il quale legge la vicenda come un grande incubo e la popola di visioni sempre in bilico sogno e realtà.

Il direttore d'orchestra ha restituito la pagina, che Cajkovskij scrisse ispirandosi a un racconto di Puskin, in tutta la sua grandezza: c'è il Cajkovskij ballettistico, c'è il musicista che racconta con tocco leggero la sua Russia, ma c'è anche il Settecento, c'è tutta la capacità del compositore di portare in palcoscenico la febbre che assale il giovane Hermann, prigioniero dell'ossessione del gioco. E Temirkanov tiene insieme tutto questo a meraviglia, ben assecondato dall'orchestra della Scala e dal coro, grande coprotagonista in scena, istruito dalla mano salda e dall'intelligenza musicale del maestro Bruno Casoni: a proposito, perché non riservare al direttore del coro un'uscita singola alle chiamate finali, invece che accorparlo in modo abbastanza anonimo a regista, scenografo e coreografo? La compagnia di canto ha visto primeggiare, nel ruolo della vecchia contessa, Elena Obratzova, cantante di consumata esperienza, qui sempre in bilico tra il registro grave e la levità del canto a fil di voce nella scena della morte.
Hermann è Misha Didyk, tenore con la T maiuscola. E se unanimi consensi hanno riscosso Dmitri Hvorostovsky (principe Eleckij dall'impeccabile linea di canto), Julia Gertseva (morbida Polina) e Vladimir Vaneev (possente Tomskij), ha deluso in parte la prova di Dagmar Schellenberger, Lisa dal rendimento alterno. La "Dama di picche" sarà in scena agli Arcimboldi sino all'11 prossimo.

Unica data, invece, per il concerto di Temirkanov con la Filarmonica della Scala. Un successo caloroso ha salutato il ricco programma che, accanto al Mendelssohn de "Le Ebridi" ha regalato momenti di grande emozione prima con il "Concerto n°4 in sol maggiore per pianoforte e orchestra" di Ludwig van Beethoven - alla tastiera Bruno Leonardo Gelber - e poi con la monumentale "Sinfonia n°6 Patetica", naturalmente targata Cajkovskij.