LA STAMPA
1 febbraio 2005

Una tragedia a lieto fine

di Paolo Gallarati

Dopo la ricostruzione, il teatro La Fenice gira ormai a pieno regime, con una stagione ben equilibrata che ha il suo titolo di punta nel Maometto II di Rossini, andato in scena con regia, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi, e la direzione orchestrale di Claudio Scimone. Si tratta di un'opera imponente, dominata da una tematica patriottica che, nel 1820, anticipava il Risorgimento. Creata a Napoli, fu poi trasformata e un po' rovinata per la rappresentazione veneziana del 1822 in cui Rossini, oltre a tagliuzzare la partitura e sostituire brani precedenti con pezzi non necessariamente migliori, cambiò lo straordinario finale tragico in un banale lieto fine: invece del suicidio di Anna, che sacrifica se stessa e il suo amore per salvare la patria, l'opera presenta un bel matrimonio tra la ragazza e il suo corteggiatore italiano, mentre il nobile e solenne Maometto, protagonista dell'opera, ad un certo punto sparisce senza lasciar traccia. Ve lo immaginate Verdi trasformare, per una rappresentazione qualsiasi, il finale de La traviata e concludere l'opera con le nozze di Alfredo e Violetta? Ma, negli anni '20, il melodramma serio era ancora una rappresentazione di affetti unversali, non di vicende individuali, e tutto poteva essere mutato, senza grossi danni.

Maometto II non è un capolavoro. Ora che queste opere serie di Rossini, dopo averci stupito per la loro riscoperta, cominciano ad entrare in repertorio, mostrano bellezze e limiti. Molte pagine, qui, si alimentano ad un formulario ripetitivo, tranne la meravigliosa preghiera di Anna Giusto cielo in tal periglio e i notevoli cori, in chiusura del primo atto. Ma il nuovo finale, costruito trapiantando il rondò conclusivo de La donna del lago, è posticcio e quasi imbarazzante. Su quest'opera eminentemente statica Pier Luigi Pizzi ha costruito una scenografia su due piani mobili; il sopra e il sotto scorrono verticalmente, apparendo e sparendo con effetti di sorpresa. Architetture ellenistiche semidiroccate, volte e archi di mattoni grigi, fanno da cornice ai costumi in sfumature color pastello, mentre il manto color ruggine di Maometto squilla sul grigio-azzurro del fondo. La regia arreda un'azione quasi inesistente, con gesti sobri ed esplicativi. Impossibile e controproducente sarebbe fare di più.

La compagnia di canto è buona. Ormai lo stile acrobatico del belcanto rossiniano si è diffuso, producendo parecchi cantanti che volteggiano come funamboli. Così sono Carmen Giannattasio (Anna) e Anna Rita Gemmabella (Calbo) nei panni della coppia protagonista. Il basso Lorenzo Regazzo come Maometto II è stato splendido: voce, portamento, chiarezza di dizione, precisione nelle colorature ne fanno un cantante rossiniano che non teme i personaggi più impegnativi. Il direttore, Claudio Scimone, conduce quest'operona pesante e monumentale in una navigazione sicura, ma maggior brio ed elasticità di fraseggio sarebbero necessari. Alla fine, ciò che resta impresso nella memoria dello spettatore sono le acrobazie delle due protagoniste, la regalità vocale e scenica di Lorenzo Regazzo e alcune trovate dello spettacolo. In particolare, l'apertura del sipario sulla visione dell'harem (applauso a scena aperta) con le donne vestite in burka dai colori pastello, tali da convincerci che questa bistrattata toilette femminile non sia poi tanto male: ma solo se disegnata e dipinta dal magico pennello di Pier Luigi Pizzi.

 

La Nuova Venezia
30 gennaio 2005

Caloroso successo dell'opera di Rossini diretta da Claudio Scimone
Un happy ending e voci giovani e chiare per "Maometto II" in Scena alla Fenice

di Massimo Contiero


Una scena di «Maometto II» alla Fenice

VENEZIA. Nell'esecuzione musicale, il rispetto assoluto del testo come a priori ineludibile, trovò Verdi e poi Toscanini tra i primi assertori. Oggi è religione per i filologi più strenui. Tuttavia quando non c'è un testo univoco, come era nell'opera preverdiana, (che si arricchiva di molteplici varianti ad ogni passaggio in un nuovo teatro) nasce il problema della versione cui fare riferimento. Accade spessissimo in Rossini, accade in Maometto II. Andato in scena il 3 dicembre 1820 al San Carlo di Napoli, nella ripresa veneziana dell'anno seguente, tra le varie modifiche, era compresa addirittura quella del finale tragico in lieto fine, con l'utilizzo del rondò conclusivo della Donna del lago, la cui musica era per altro già presente nell'ultima scena di Bianca e Falliero.

Claudio Scimone è tra i non molti frequentatori di Maometto II, opera quasi desueta dopo la rielaborazione parigina ne Le Siège de Corinthe. La diresse infatti, alcuni lustri or sono, al Rossini Opera Festival di Pesaro, anche allora avendo la regia, le scene e i costumi di Pier Luigi Pizzi. In questa nuova edizione, il direttore padovano, forse in omaggio alla Fenice, adotta il finale veneziano, ancorché dai più giudicato incongruo e posticcio, chiamando Carmen Giannattasio, che lo canta, ad un'acrobatica sfida di bravura. Tra i motivi che spinsero Rossini alla variante, ci fu il desiderio di non rammentare ai veneziani una sconfittae la speranza di cogliere un successo più franco che a Napoli, dove il carattere fortemente drammatico dell'opera ne avevano raffreddato il gradimento. Proprio al San Carlo era invalso l'uso di abolire i cosidetti recitativi "secchi", cioè accompagnati dal solo cembalo, in favore di una presenza costante dell'orchestra, ad ottenere quasi un continuo arioso, con incastonate le arie vere e proprie e i pezzi d'assieme, senza cesure troppo nette a delimitare i "pezzi chiusi".

Ne deriva all'opera un carattere corrusco, nell'edizione pesarese ben servito da un cast vocale di forte propensione drammatica. Lo spostamento in chiave ottimistica di questa nuova versione veneziana ha suggerito una scelta di voci più chiare e giovanili. Lorenzo Regazzo, ben noto qui come interprete rossiniano, riesce a stemperare l'arroganza di Maometto vincitore in un fraseggio elegante e raffinato. Stride meno così il confronto con il timbro non drammatico del tenore Maxim Mironov, chiamato all'ingrata parte di Erisso, impervia per l'estensione richiesta e neppure premiata da un'aria solistica. Al personaggio di Anna, che fu creato dalla voce scura della Colbran, presta la sua liricità Carmen Giannattasio. Il ruolo contraltile di Calbo è affidato al mezzosoprano Anna Rita Gemmabella, che, attenuati gli accenti virili del bellicoso intervento di sortita, coglie il lato elegiaco di questo nobile innamorato. Non sorprende che, nell'ottica generale di questo spettacolo, il ruolo di Condulmiero sia affidato ad un contratenore, Nicola Marchesini. Il risultato complessivo sembra voler essere testimonianza dell'arretramento di Rossini rispetto alla versione napoletana e al suo colore preromantico, ancorché a Venezia avessero cantato sia la Colbran che Filippo Galli, il basso che fu il primo Maometto.

Pier Luigi Pizzi mostra subito le innovazioni tecnologiche della Fenice, rialzando il primo livello del palcoscenico, dove sono costruiti un sacello e una fortezza diroccati, rivelando una cripta sottostante. Soldati veneziani, ormai integrati in Negroponte, vestono come greci. Spiccano sulle tinte diafane le scure divise di Erisso e Calbo. Più variopinti gli ottomani, armati di lunate scimitarre.

Successo caloroso.

 

IL GAZZETTINO
1 febbraio 2005

Il "Maometto II" di Rossini riproposto alla Fenice

Venezia. La bella stagione della Fenice continua a proporre melodrammi non ancora entrati in repertorio come il "Maometto II" di Rossini, rappresentato a Napoli nel 1820 e ripreso due anni dopo a Venezia, in una versione abbastanza modificata, soprattutto nel second'atto. Si pone dunque prima di tutto il quesito di fondo circa la scelta del testo: quello napoletano è drammaticamente più avanzato e compatto; quello veneziano più regressivo e ligio alle consuetudini lagunari. Rossini, infatti, amava adeguarsi alle richieste locali con disinvolta accortezza pratica, e alcune delle intuizioni originarie - l'unitarietà del poderoso "terzettone" a metà del prim'atto, la seconda aria di Maometto, o il finale tragico - vennero accantonate. La Fenice ha reso omaggio alla propria tradizione teatrale per una stagione, come l'attuale, concepita in funzione di un festoso cerimoniale commemorativo. Ma forse sarebbe opportuno, in prospettiva, riprendere l'opera anche nella versione originaria, trattandosi di uno dei capolavori del teatro ottocentesco.

Tuttavia anche nel riduttivo rifacimento veneziano, si ammirano pezzi di insieme: duetti, terzetti per soli e coro, concertati, con cui Rossini amplia le architetture compositive, accortamente bilanciate da oasi liriche pre-belliniane. Il musicista pesarese concilia una impostazione ancora classicista, con aperture linguistiche cariche di futuro, che si irradiano appunto fino a Bellini e al primo Verdi.

La vicenda presenta il consueto dissidio tra passione amorosa e obblighi familiari e politici. Al centro la figura di Anna, innamorata di Maometto, che preferisce la fedeltà al padre e Erisso e al generale Calbo, entrambi veneziani, alle lusinghe sentimentali di un musulmano. Il racconto privato è inserito in un contesto guerresco e nei conflitti paradigmatici tra lagunari e ottomani, con ricorso a solenni interventi corali e sofisticate ricerche strumentali.

Rossini da un lato crea costruzioni monumentali arditamente polifoniche e recitativi drammatici molto elaborati, dall'altro estremizza le iperboli belcantistiche. Di qui la difficoltà, sul piano esecutivo, di conciliare orientamenti linguistici tanto diversificati, tra attenzioni per la parola musicata e fastoso stile ornamentale. Lorenzo Regazzo, Maometto, è impeccabile nel cantabile, nell'agibilità, nella declamazione: un rossiniano in perfetto gusto vocalistico e di ardente passionalità. Carmen Giannattasio, Anna, emerge nel melodismo patetico, come nelle impervie fioriture del rondò finale (che sostituisce l'originale epilogo tragico). Anna Rita Gemmabella è un vigoroso contralto dalle scure agilità di forza come Calbo. Erisso è l'esordiente e dotato Maxim Mironov, dalla voce piccola ma ben timbrata e di suggestiva formazione belcantistica. Curiosamente il ruolo marginale di Condulmiero è affidato a un controtenore, mentre, nella lezione veneziana, è un basso. Dirige Claudio Scimone, curatore e difensore della versione veneziana del "Maometto II" cui ha riservato un ventennio di studi, fin dalla ripresa pesarese del 1985. Il direttore padovano tende a enfatizzare la grandiosa epicità dell'opera e ad accentuarne gli aspetti preromantici. C'è una decisa e appassionata intensificazione espressiva, che talora sacrifica però la severa aulicità del discorso rossiniano. Il coro, fin troppo ostentato, è diretto da Emanuela Di Pietro.

Pier Luigi Pizzi aveva ideato un memorabile allestimento palladiano a Pesaro nell'85 e nel '92, che restituiva la monumentalità classicista dell'opera. La produzione veneziana è radicalmente diversa. Si privilegiano chiese e paesaggi devastati dalla guerra, con un interessante sdoppiamento del quadro visivo, tra antri sotterranei e architetture sfasciate. I costumi sono più sobri e atemporali rispetto a quelli elegantemente rinascimentali di Pesaro. Nel complesso è una lettura nobilmente oratoriale.

Consensi caldissimi; finalmente anche il sofisticato Rossini serio avvince lo spettatore: si pensi alla complessità degli orditi contrappuntistici, di forte presa teatrale, e alla compiaciuta maestria sinfonica, che esigono una particolare concentrazione di ascolto.

Mario Messinis

 

IL GIORNALE DI VICENZA
1 febbraio 2005

OPERA
La prima esecuzione moderna della versione messa a punto nel 1823
"Maometto" a Venezia: Tragedia a lieto fine
Rovesciata la drammaturgia rispetto all’originale (che si chiudeva con il suicidio della protagonista) ma non la straordinaria astrazione belcantistica della vocalità. Dirige Scimone, regia di Pizzi, buona la compagnia di canto.

di Cesare Galla
inviato a Venezia

Fra le opere di Rossini, Maometto II va ascritto, modernamente parlando, al genere dei capolavori misconosciuti, che gli storici e i musicologi considerano molto importanti, ma ai quali non ha arriso il favore del pubblico. Il lavoro non ebbe fortuna al suo esordio (Napoli, 1820) e in breve scomparve dalle scene, salvo essere "rifuso" e trasformato in Le siège de Corynthe, che il musicista predispose per Parigi nel 1826 e che poi ebbe una certa circolazione anche in Italia, peraltro ulteriormente modificato e "manipolato". L’originale era stato riesumato nel 1985 dal festival rossiniano di Pesaro, in una edizione memorabile anche per le stelle del belcanto che affollavano il cast (Ramey, Merritt, Gasdia, Valentini Terrani…), ma non ha mai preso piede, e rimane confinato all’ambito delle sofisticate prelibatezze per raffinati golosi del genio rossiniano, pronti ad accorrere ai suoi rarissimi allestimenti.

È quel che accade ora: Maometto II riemerge alla Fenice. È un evento, anche se non si tratta della versione sentita a Pesaro (ovvero la primigenia napoletana) bensì di quella - ulteriore exploit di sottigliezza storico-critica - che lo stesso musicista approntò per una ripresa veneziana durante la stagione 1822-23, ulteriore tappa dell’accidentato cammino di questa partitura. La proposta può sembrare un’esagerazione filologica un po’ stravagante, soprattutto se si considera che l’opera del 1820 non è mai stata rappresentata a Venezia, ma l’iniziativa comunque qualche ragione la possiede. E la principale consiste nel fatto che le differenza tra le due versioni è notevole musicalmente, e drammaturgicamente decisiva.

Al San Carlo di Napoli (e 165 anni dopo a Pesaro) gli spettatori avevano assistito a una vera tragedia in musica, che nel ripercorrere le vicende del terribile assedio dei turchi di Maometto II ai veneziani asserragliati a Negroponte (fatti del 1470), si concludeva con il suicidio di Anna, figlia del governatore Erisso, sconvolta dopo essersi resa conto di avere amato il feroce condottiero musulmano, che l’aveva ingannata facendosi credere un nobile veneziano. Pochi anni dopo alla Fenice di Venezia - non saprei se più per la consuetudine locale del lieto fine o per una scelta "politica" - la stessa eroina poteva concludere trionfante l’opera - scartato il suicidio - con un vertiginoso Rondò di bravura (tolto di peso dalla Donna del lago). Con disinvolto rovesciamento della realtà storica (a Negroponte nel 1470 i veneziani subirono una pesantissima disfatta), questa versione del Maometto II immagina infatti, "onde togliere l’orrore della scenica catastrofe", che a vincere siamo alla fine i soldati della Serenissima.

I cambiamenti non riguardano solo il capovolgimento del finale. Fra l’altro, nel primo atto, il formidabile "Terzettone" con cui nel 1820 Rossini aveva scardinato le consuetudini formali dell’opera seria realizzando una continuità scenico-drammatica all’epoca del tutto rivoluzionaria viene riformulato in maniera più tradizionale, e scandito fra un quartetto e un terzetto; sempre nel primo atto, viene rimossa la Cavatina della protagonista, altro pezzo di bravura che forse nel 1823 era diventato troppo difficile per l’interprete dell’epoca, la celebre Colbran, che pure con esso aveva trionfato a Napoli tre anni prima; colpo di spugna anche sull’aria di Maometto nel secondo atto. Nonostante tagli e modifiche, però, la tenuta dell’opera rimane, e soprattutto rimane mirabile l’invenzione rossiniana che si basa su due pilastri straordinari: un belcanto siderale, di suprema astrazione espressiva, e una scrittura orchestrale capace di articolare in concreta espressività teatrale quello che la linea di canto quasi sempre mantiene su un livello di superba quanto inattuale esaltazione vocalistica.

È chiaro che per affrontare una partitura del genere occorrono risorse interpretative, nel cast vocale, di assoluto livello, e bisogna dire che la compagnia ascoltata alla Fenice ha nell’insieme superato la prova con rigore stilistico e un equilibrio complessivo assai apprezzabile. Per tutti, la coloratura rossiniana non è un mistero, e tutti l’hanno affrontata e risolta con sciolta evidenza, pur nella differenza delle qualità di fraseggio, di timbro, di smalto. Maometto II era il basso Lorenzo Regazzo, preciso e morbido; Paolo Erisso era il tenore Maxim Mironov, che nei momenti migliori (ma ha palesato qualche discontinuità) ha messo in evidenza buon controllo della linea di canto e facilità nello squillo, dimostrando però qualche problema nella zona bassa della tessitura; Calbo il mezzosoprano Anna Rita Gemmabella, concentrata e duttile; Condulmiero il sopranista Nicola Marchesini, che spinge bene sull’acuto (ma noi avremmo preferito restare, senza ulteriori arzigogoli fra prassi e filologia, o all’originale parte tenorile o a quella basso-baritonale veneziana). Di grande risalto la prova del soprano Carmen Giannattasio, un’Anna trepida e risentita, tecnicamente impeccabile, musicalmente e stilisticamente avvincente.

Come a Pesaro nel 1985 - è lui l’autore dell’edizione critica - anche alla Fenice il podio era di Claudio Scimone, il massimo esperto di quest’opera, che ha rivisto le fonti dell’epoca per il recupero dell’edizione veneziana. Esecuzione di grande plasticità, la sua, in equilibrio fra vivacità di tempi e di colori e severità di stampo quasi neoclassico, capace di delineare il "sentir tragico" di Rossini con ricchezza di sfumature. E come vent’anni fa a Pesaro, regia, scene e costumi sono stati firmati da Pierluigi Pizzi, che ha sfruttato a meraviglia le grandi possibilità funzionali del palcoscenico della nuova Fenice, sfruttando i movimenti verticali e orizzontali delle piattaforme e degli stessi elementi scenici: monumenti diroccati - dopo il lungo e devastante assedio - che lasciano il posto all’interno della rocca dove i veneziani resistono, interni ed esterni che si alternano con una fluidità scenica e drammatica che corrisponde in pieno a quella rossiniana. Elegantissimi come sempre i costumi, stilizzata curata ed essenziale la recitazione, per uno spettacolo davvero fascinoso. Teatro gremito alla prima, accoglienze entusiastiche. Si replica ancora domani, venerdì e domenica.

 

Panorama
10/2/2005

CLASSICA
Melodramma, si può fare di più

di LORENZO ARRUGA

® MAOMETTO II di Gioachino Rossini.
Teatro La Fenice di Venezia.

Guardiamoci negli occhi. Pensiamo insieme: un conquistatore scafato come Maometto II s'innamora tanto della figlia d'un nemico di Negroponte suddito veneziano che grazierebbe tutti, perde la battaglia e lei si sposa un altro. Un'opera dell'Ottocento. Ci basta uno spettacolo di pregiate immagini, di voci quiete e preoccupate, di atteggianenti da vecchie care e un po' goffe stampine?

A Venezia abbiamo avuto un Maometto Il animato fervidamente dal competentissimo Claudio Scimone, protagonista l'eccellente Lorenzo Regazzo, con cantanti giovani in regola con l'ugola, in entrambi i casi posati ad arte nelle scene essenziali e di gusto ingegnoso di Pier Luigi Pizzi.

Il guaio, provvido guaio, è un altro. Non ci basta. Noi ci andiamo, vorremmo stupefarci, delirare. Vorremmo riconoscere, nella vertigine scura dello spazio misterioso della favola e del mito, il nostro volto segreto e la passione per vivere. E allora siamo molto lontani. Prendiamo per buoni i segni confortanti. Ma non accettiamo che servano a contentarsi e a vivacchiare così.

 

Forum Opéra
Teatro La Fenice, 28 Janvier 2005

Gioachino Rossini: Maometto II

Ce 28 janvier, premier jour du Carnaval 2005, la Fenice affiche l'opéra de Rossini Maometto Secondo qui avait déjà ouvert la saison du Carnaval le 26 décembre 1822. Sur un livret de Cesare della Valle, l'ouvrage a pour thème la prise de la colonie vénitienne d'Eubée, dans la mer Egée, par le conquérant de Byzance, Maometto II.

Dans la version créée à Naples en décembre 1820, les troupes vénitiennes, à la tête desquelles Paolo Erisso, gouverneur de l'ïle et son second Calbo, sont massacrées et la fille d'Erisso, autrefois séduite par Maometto II sous l'identité d'un notable chrétien, préfère se donner la mort plutôt que de devenir l'épouse d'un ennemi et d'un infidèle. Rossini, se doutant que l'évocation de cet épisode historique, même romancé, ne les séduirait pas, adapta l'oeuvre au goût de ses contemporains vénitiens. Ajoutant une ouverture selon le modèle opératique en vogue à Venise, il renonça à une structure musicale novatrice pour revenir à un schéma plus traditionnel et, avec l'aide du librettiste Gaetano Rossi, le finale, de tragique, devint joyeux.

Dans cette version de la Fenice, jamais reprise depuis 1823, Maometto II accepte le défi que lui lance Calbo, général en chef des Vénitiens et prétendant à la main d'Anna Erisso. Véritable jugement de Dieu, ce combat voit la défaite des Musulmans. Entre son père et son amoureux, Anna chante alors le rondo final de La Donna del Lago.

On le voit, de Naples à Venise, on est passé d'une tragédie sanglante à un dénouement des plus conventionnels. Cependant, les beautés musicales sont si nombreuses que ces changements n'affectent pas l'intérêt suscité par la version vénitienne. De surcroît, pour faire de ces représentations un événement, deux spécialistes éminents de Rossini ont été convoqués, vénitiens eux-mêmes, du moins d'adoption.

Claudio Scimone, chef d'orchestre et musicologue, auteur de l'édition critique et du premier enregistrement de la version napolitaine il y a plus de vingt ans, a mis au point la version donnée à Venise à partir des autographes existants. C'est dire si cet opéra lui est familier. Quant à Pier-Luigi Pizzi , chargé de la mise en scène, des décors et des costumes, il a signé de très nombreuses productions rossiniennes dans les plus grandes maisons.

Avec de tels maîtres d'oeuvre, on ne pouvait se tromper, semblait-il. Et pourtant... Ce n'est pas trahir un secret que de dire que Claudio Scimone est meilleur musicologue que chef d'orchestre. Une direction imprécise et des tempi variables ne facilitent pas la tâche des autres musiciens, instrumentistes ou chanteurs. C'est un peu chacun pour soi. Si, grâce au professionnalisme des uns et des autres, tout accident grave est évité, la cohésion du plateau laisse à désirer et la musique de Rossini n'est pas servie au mieux.

Du point de vue visuel, on retrouve l'élégance infaillible de Pizzi. Mais la beauté des décors et des costumes tient-elle désormais lieu de mise en scène ? Devant des ensembles mornes et statiques, aux attitudes incompatibles avec le texte chanté, on ne peut que se demander si cet homme, qui préparait simultanément Ernani à Vérone, Maometto II à Venise et Semiramide à Rome, a consacré assez de temps à diriger les personnages. Certes, chaque décor éveille des réminiscences picturales ou photographiques - le harem où les femmes assemblées composent un ensemble qui évoque celles de Kaboul dans les ruines - le souterrain voûté à la Piranese, la dégradation croissante du temple antique qui sert d'église aux Vénitiens assiégés, le rempart à demi écroulé par lequel Maometto II fait son entrée... Certes, les costumes qui déclinent toutes les nuances du blanc au noir et du grège à l'ocre - un refus des couleurs vives étendu au héros, revêtu de rouges éteints -, les plissés rappelant l'Antiquité et le Vénitien d'adoption Fortuny, tout est raffinement et condensé de culture. Mais la conception et la réalisation n'ont ni le caractère d'évidence ni la force du spectacle donné à Pesaro autour de la version napolitaine, vraisemblablement plus travaillé.

La distribution ne réserve pas non plus que des satisfactions. Federico Lepre, en Selim, suivant de Maometto II, tire son épingle du jeu. En dira-t-on autant de Nicola Marchesini, le contre-ténor choisi pour être le général Condulmiero ? S'agissait-il de faire sensation ? En 1822, le rôle était chanté par une basse, et dans son enrichissant essai publié dans le copieux programme de salle, Marco Beghelli suggère, compte tenu de l'état de la partition, de faire appel à un baryton aigu...

En passant de Naples à Venise, le rôle de Paolo Erisso, gouverneur malheureux et père déchiré, s'est enrichi d'un air qui en augmente le poids. Le jeune ténor Maxim Mironov, remarqué en novembre au Théâtre des Champs-Élysées en Ramiro, fait de son mieux, mais la tessiture de baryténor se révèle éprouvante et son vibrato donne à croire qu'il est, dès le début, fatigué. En outre, physiquement, bien qu'il essaie de se voûter, on a du mal à croire qu'il soit au moins quadragénaire.

Anna Rita Gemmabella interprète Calbo. Le travesti ne sied vraiment qu'aux chanteuses élancées, ce qui n'est pas son cas. Par contre, la voix est sonore, agile et étendue, l'émission assez bien contrôlée - peu de sons engorgés ou dans les joues lors des changements de registre -, mais elle manque un peu de mordant.

Le rôle d'Anna Erisso, créé jadis par une Isabella Colbran sur le déclin, revient à Carmen Giannattasio. Charmante comme le dit son prénom, elle a comme son illustre devancière des difficultés dans les aigus, qui frôlent la stridence. La souplesse et la vocalisation n'ont rien sensationnel, et le personnage, toujours appliqué, n'a guère de relief.

Heureusement, Lorenzo Regazzo offre au public une leçon de chant rossinien. Assurément, il ne possède pas une voix de stentor ni celle d'une basse profonde, mais sans truquer, sans aucun effet facile, il s'impose comme un des meilleurs chanteurs dans ce répertoire exigeant. Qu'il s'agisse de l'agilité, de la déclamation, du chant syllabé, il sert le rôle avec virtuosité, tout en composant un personnage dramatiquement convaincant sous ses divers aspects de conquérant, de politique et d'amant. Grâce à ce talent majeur, doublé d'une rare probité artistique, et en dépit de ses imperfections, cette édition du Maometto Secondo restera un grand souvenir.

Maurice SALLES

 

Der Neue Merker
2. Februar 2005

Venedig: "Maometto II"
Ein Triumph für Rossini

Dieses Werk ist eine von Rossinis napolitanischen Reformopern (1820). Es gibt kaum mehr Arien im herkömmlichen Sinn, in diesem Werk nur drei, sondern lange zusammenhängende Szenen. 1822 machte er eine ziemlich überarbeitete Version für Venedig, u. a. auch, weil man dort einen glücklichen Ausgang der Handlung erwartete (siehe auch entsprechende Versionen des „Tancredi" und des „Otello"). Schließlich erfolgte 1826 für Paris eine grundlegende Neufassung und Erweiterung als „Le siege de Corinthe", dann gibt es noch von fremder Hand eine Rückübersetzung und Vermischung der diversen Fassungen als „L’assedio di Corinto".

Also eine komplizierte Geschichte. Hier führte man die Fassung von 1822 auf. Die Geschichte handelt von der Belagerung der Stadt Negroponte auf der Insel Eubeo im Jahr 1470 durch Mehmed II., dem Eroberer von Konstantinopel. Der Krieg endete für Venedig schlecht, aber man wollte damals dennoch einen glücklichen Ausgang in der Opernhandlung.

Claudio Scimone ist ein ausgesprochener Rossini-Experte und hatte eine glückliche Hand für das Werk. Er entfachte das Feuer der Begeisterung bei allen Ausführenden, entzündete das Publikum und führte die Oper zum großen Erfolg.

Die Produktion gehört zu den besten Pier Luigi Pizzi-Produktionen. Die Bühne zeigt ein unterirdisches Gewölbe in der belagerten Stadt, bzw. zerstörte Gebäude. Die Türken sind osmanisch gekleidet, die christlichen Soldaten tragen griechische Männer-Röckchen.

Die Besetzung mit zumeist jungen Sängern war exzellent ausgesucht und erfüllte die großen Erwartungen, denn der Komponist verlangt Gewaltiges, allein vom Umfang einer Partie, mit riesigen Intervall-Sprüngen und perfekten Koloraturen und Trillern.

Lorenzo Regazzo war ein kraftvoller, im Singen sehr sicherer Maometto, der in seiner großen Arie „Sorgete" glänzend bestehen konnte. Der venezianische Statthalter Paolo Erisso wurde vom 23-jährigen Russen Maxim Mironov verkörpert. Er ist schlank und groß, hat einen hellen, angenehmen Tenor und hatte, wie es heißt, im Oktober in Paris großen Erfolg als Prinz in der „Cenerentola". Er ist eine der rossinischen Tenor-Väter. Seine Tochter Anna war mit Carmen Giannattasio schönstens besetzt. Sie hat einen warmen, runden, ansprechenden Ton durch alle Lagen, und die werden wirklich verlangt!), sie kann attackieren.

Das Rondo finale „Tanti affetti" (aus "La donna di lago") war hinreißend. Der Rezensent hörte sie vor einigen Jahren an der Scala. Der venezianische General Calbo (in der franz. Version ist es dann ein Tenor) fand, in der optisch an die Zajick erinnernden, in Anna Rita Gemmabella eine überzeugende Verkörperung mit überraschend großen Stimmumfang, perfekter Attacke, was sich in der Arie „Non temer" beispielhaft zeigte. Mit einer hellen Stimme, die sich wohl in Richtung Charaktertenor entwickeln wird, war Nicola Marchesini der General Condulmiero.

Die reine Spielzeit beträgt fast drei Stunden, dem Publikum war es nicht zu lange, denn es reagierte mit größter Begeisterung.

Martin Robert BOTZ