CORRIERE DELLA SERA
13 aprile 2008

Elzeviro. A Roma il capolavoro di Puccini
Il Maestro e la Fanciulla

Nel 1907 Puccini soggiornò per cinque settimane a Nuova York: il Metropolitan gli aveva organizzato un Festival. Godeva laggiù di amplissima popolarità un drammaturgo dal carattere strettamente americano, David Belasco, che nella città aveva addirittura costruito un teatro da dedicarsi esclusivamente alla sua produzione, il "Belasco Theatre". Sempre alla ricerca di un libretto, resa ogni volta un affare di Stato per via della sua incontentabilità, Puccini si recò tre volte in quel teatro, mentre in Italia il povero Illica continuava a lavorare su di una Maria Antonietta alla quale Puccini non volle mai far vedere la luce. Assistette dunque una sera a The Girl of the Golden West, arricchita di canzoni ed effetti sonori che richiedevano un'orchestra di una ventina di strumenti caratteristici e una macchina del vento. Non è vero che ne venisse subito conquistato: si fece venire il dramma in Italia, se lo fece tradurre e di lì incominciò il faticosissimo parto del libretto affidato a Carlo Zangarini: la scontentezza di Puccini verso quest' ultimo ne provocò, per così dire, il commissariamento a opera di Guelfo Civinini, che riscosse pari favore del Maestro. Ben si può dir vera la dichiarazione di Zangarini, esser Puccini il solo autore della Fanciulla del West. La quale andò in scena il 10 dicembre del 1910, protagonista Enrico Caruso, direttore Arturo Toscanini. Fu il maggior successo conseguito in vita dal Maestro e anche, secondo lui, la sua Opera migliore. Giudizio condiviso da un club di squisiti ma non dai teatri o dal pubblico, il che rende La Fanciulla la meno eseguita tra le "grandi" Opere di Puccini.

Le considerazioni seguenti sono basate sull' ultimo allestimento del difficillimo dramma musicale al Teatro dell'Opera di Roma, magistralmente diretto da Gianluigi Gelmetti con regia, scene e costumi, assai appropriati, di Giancarlo del Monaco. La Fanciulla vorrebbe essere Opera di colore locale, ma in realtà il localismo, a differenza che nel I atto della Turandot, ridonda ampiamente in demagogia e inverisimiglianza.

La protagonista femminile, Minnie, è una ragazza proprietaria d'un saloon nella California all' epoca dei cercatori d'oro (1850): ebbene, costei monta a cavallo, spara come un consumato bandito, mantiene l'ordine in mezzo alla masnada della clientela, eppure all'alzar del sipario è ancora una dolce verginella la quale, per lei dunque incognito l' uomo, ha la forza di costringere i cercatori, dopo che si sono abbrutiti di alcool e di giuoco, a seguire le sue lezioni di catechismo. Di qui la storia d'amore fra lei e un bandito: e si passa fra vicende altamente drammatiche e realistiche alla fine delle quali il bandito trova la redenzione, Minnie diviene donna. La demagogia del saloon e del resto è in Puccini lagrimevole e gli "Hello" dei cercatori al bancone ti farebbero passare la voglia di ascoltare l' Opera; all'inizio del II atto i bamboleggiamenti di una coppia d' indiani che parla coi verbi all' infinito ti fanno pentire d' esser rimasto. Ma...

Si dice che La Fanciulla possegga un taglio teatrale infallibile: sarà così, ma anche questo passa in secondo piano. La più profonda verità la dice il Puccini musicista che, dopo aver tanto dato alle astuzie di botteghino, plasma una partitura impressionante. Il linguaggio armonico è affatto diverso da quello della Bohème e della Tosca, tutto percorso com'è da un'inquietudine esplosiva che finisce col privilegiare la dissonanza alla consonanza: l'uso della scala per toni interi si radica nelle armonie, donde la presenza continua di triadi aumentate le quali, lungi dall'esser interpretate dall'orecchio siccome "emancipate", producono un'impressione sfuggente e angosciosa. L'orchestrazione è da manuale, per originalità, tinte or corrusche ora di pece, l'espressionismo del poker fra Minnie e lo sceriffo. Dal Puccini musicista ci viene una partitura non fortemente drammatica, ma di alta statura tragica che sarebbe degna di dar voce a vicende di Atridi: sì ch'egli si pone di là dalla stessa vicenda drammatica che narra. In questa non voluta esplosione di forze terribili da parte di Puccini sta l' incongruenza della Fanciulla: incongruenza redentrice che ne fa il suo capolavoro.

Gl'interpreti principali dell' allestimento romano sono il soprano Daniela Dessì, il tenore Fabio Armiliato, il baritono Silvano Carroli.

Paolo Isotta

 

il manifesto
16 aprile 2008

Al teatro Costanzi torna "La fanciulla del west"
Un misurato e raro Puccini

ARRIGO QUATTROCCHI

Roma. A distanza di 25 anni dall'ultima edizione La Fanciulla del West di Puccini è tornata nella sala del Teatro Costanzi, in una produzione affidata a Gianluigi Gelmetti per la direzione e a Giancarlo Del Monaco per la regia (scene e costumi di Michael Scott, luci di Wolfgang von Zoubek e Alessandro Santini). L'attenzione verso le opere meno popolari di Puccini è stato un preciso fil rouge degli anni di Gelmetti alla guida del Teatro dell'Opera, e opportuno era questo ritorno della Fanciulla, opera la cui relativa rarità è dovuta a molteplici fattori: la presenza di una sola pagina davvero popolare ("Ch'ella mi creda"), la necessità di un gruppo di ben quindici comprimari, il grande impegno chiesto all'orchestra e un ruolo di soprano veramente temibile per lunghezza e tessitura. A Roma nei panni della bella Minnie, unica e virtuosa presenza femminile nel campo dei minatori, c'è Daniela Dessì; la sua voce di soprano lirico spinto non sembra del tutto adeguata ai passaggi più acuti e temibili del ruolo, che la portano a qualche forzatura, ma la cantante recupera poi sul piano dell'espressività e delle qualità interpretative, disegnando un personaggio cesellato nel dettaglio e convincente. Accanto a lei il bandito Dick Johnson è Fabio Armiliato; al bel timbro unisce sicurezza negli acuti, intensità espressiva e presenza scenica, e la sua prova è giustamente applaudita. Silvano Carroli, dopo 45 anni di palcoscenico, mostra un organo vocale comprensibilmente usurato ed anche una certa rigidità scenica, ma si comprende ugualmente come quello dello sceriffo Jack Rance fosse uno dei suoi ruoli più efficaci. Molto affiatato il gruppo dei comprimari, in cui si distinguevano Aldo Orsolini (Nick), Francesco Facini (Ashby), Patrizio Saudelli (Trin). Sono tutti molto misurati questi minatori, che cantano con pulizia senza cedere al più facile motteggio, e questo è certamente un merito ascrivibile a Gelmetti, che deve aver lavorato con la compagnia per evitare cadute nel bozzettismo. La direzione ha i pregi maggiori proprio nel rapporto col palcoscenico e nella capacità di narrare il testo con fluidità. L'orchestra è però più magmatica che analitica, e risulta così più generica e meno riuscita la ricerca sui colori, sugli straordinari dettagli timbrici e armonici che costituiscono la affascinante modernità della partitura di Puccini. Questa Fanciulla è anche il migliore fra gli spettacoli di Gianfranco Del Monaco fin qui visti; una messa in scena collaudata (nata a New York nel 1991, anche se qui ricreata), nel segno del realismo cinematografico ma con immagini non proprio convenzionali (la scena divisa esterno/interno nel secondo atto, il villaggio fantasma nel terzo) e un lavoro di regia condotto minuziosamente, con chiarezza e credibilità, anche nelle difficili scene collettive. Nell'insieme questa Fanciulla appare come uno degli spettacoli più omogenei e convincenti delle ultime squilibrate stagioni romane.

 

operaclick.com
10 aprile 2008

Roma Teatro dell’Opera
Giacomo Puccini LA FANCIULLA DEL WEST

Per la ricorrenza del centocinquantesimo anno dalla nascita di Giacomo Puccini, Roma mette in scena quattro delle sue dieci opere: una,"La Bohème", è stata rappresentata in autunno all’inaugurazione della stagione dell’Orchestra Sinfonica Roma; le altre tre sono curate dal Teatro dell’Opera: "Tosca" con cui la fondazione ha inaugurato la stagione il 14 gennaio, "La fanciulla del West" che ha debuttato l’8 aprile e "Madama Butterfly" di cui si varerà un nuovo allestimento il prossimo agosto. Inoltre si tengono una serie di iniziative collaterali, ad esempio: l’Istituzione universitaria dei concerti ha dedicato una serata a musiche rare pucciniane; la "Piccola Lirica" al Teatro Flaiano ha in programma per diversi mesi una "Tosca" ridotta a 90 minuti con un unico intervallo, strumentazione per pochi orchestrali e live electronics. "La Bohème", "Tosca" e "Butterfly" sono nei cartelloni 2008 dei quattro teatri minori (due ospitati in chiese anglicane) della capitale. In breve, escludendo Lucca (e Torre del Lago) e New York (che considera Puccini un proprio concittadino), Roma è la città dove l’ "anno pucciniano", si avverte maggiormente.

In termini di frequenza di rappresentazioni, le opere di Puccini si dividono in tre categorie: due ("Edgard" e "Le Villi") non vengono eseguite che raramente; cinque ("Manon Lescaut", "Bohème", "Tosca", "Madama Butterfly", "Turandot") sono quasi sempre in cartellone nei cinque continenti, tre ("La fanciulla del West", "La rondine" ed "Il Trittico") vengono messe in scena con minore frequenza, in particolar modo "La fanciulla del West" per alcune difficoltà specifiche che vale la pena esaminare al fine di recensirne con equilibrio gli allestimenti. Pur se tra il 1911 ed il 1988 si contino, nella capitale, 27 edizioni per complessivamente 179 repliche, mancava a Roma da 20 anni. Nella stessa New York non si vede una nuova produzione da tre lustri.

Le ragioni per la comparativamente scarsa presenza di "La fanciulla" (rispetto ad altre opere di Puccini) dai palcoscenici sono tre. In primo luogo, con buona pace dei maggiori studiosi pucciniani, la drammaturgia del lavoro teatrale di Belasco (da cui è tratto, con poche libertà, il libretto) stride, specialmente nel secondo atto, con la scrittura musicale, tanto vocale quanto orchestrale. Nel programma di sala, un saggio di Gina Guandalini, ricorda che all’inizio del Novecento, David Belasco era il "Re di Broadway". Ricordiamoci che si trattava della Broadway puritana delle commedie musicali patriottico-moralistiche di George M. Cohen. Il dramma ha di conseguenza aspetti inverosimili: come si può pensare che Minnie (unica donna in un mondo di minatori e cow boys) sia una locandiera vergine (quasi goldoniana), che non ha ancora dato "il primo bacio", e che vada a dormire sul divano del soggiorno per non dividere il letto con l’uomo di cui è perdutamente innamorata? Ciò è perfettamente in linea con un’America che ancora negli Anni Quaranta faceva morire di stenti uno dei maggiori compositori del secolo scorso, Alexander von Zemlisky, poiché considerava "indecente" il suo ultimo capolavoro. Ma cozza con la musica di un Puccini che 17 anni prima del debutto di "La fanciulla" aveva riportato prepotentemente, sulla scena lirica italiana, tramite "Manon Lescaut", quell’eros che era stato messo alla porta dal melodramma verdiano. Nell’edizione vista ed ascoltata a Torre del Lago nel 2005, sembrava che il "saloon" fosse un Cral (dopolavoro) aziendale e l’intera vicenda uno spettacolo per educande.

In secondo luogo, proprio a ragione dell’eros (non dimentichiamo che in quel periodo Puccini stava vivendo una complicata vicenda sentimental-sessuale personale), "La fanciulla del West" è la partitura più wagneriana del compositore lucchese. Lo sottolineano e Julien Budden e Michele Girardi ricordando, sia l’impiego dei leimotive sia l’ "accordo di Tristano" (il motivo di quattro note che domina l’intero finale del secondo atto) sia i (meno noti) nessi tra il breve arioso di Rance al primo atto ed il monologo di Re Marco. Il richiamo a Wagner (più che a Strauss, Korngold e Debussy molto presenti nelle opere successive, specialmente in "La Rondine" ed in "Turandot") dipende, a mio avviso dalla carica erotico-passionale, che Puccini ha dato a "La fanciulla", specialmente nel secondo atto. Non dimentichiamo l’impatto che ebbe su Puccini il "Siegfried"- specialmente la seconda parte del terzo atto, la travolgente scena d’amore tra Brunhilde ed il giovane protagonista in cui si intrecciano i leit-motive dell’"estasi d’amore" del "rapimento d’amore". Replicare una tensione analoga in "Fanciulla" – come il compositore pare intendesse - comporta un’orchestrazione grandiosa e, al tempo stesso, raffinata. Non per nulla, l’opera è stata scritta avendo in mente l’orchestra del Metropolitan e la direzione musicale d’Arturo Toscanini alla cui bacchetta venne affidata la prima il 10 dicembre 1910 a New York.

In terzo luogo, l’opera è stata concepita per due voci molto speciali: Emmy Destinn ed Enrico Caruso, nei ruoli di Minnie e Dick. Emmy Destinn era uno dei maggiori soprani wagneriani dell’epoca ma aveva un’estensione che le consentiva di giungere a ruoli da mezzosoprano come Carmen; ebbe una carriera relativamente breve a ragione di complesse vicende politiche legate alla prima guerra mondiale. Note le doti, pressoché uniche, di Caruso, seppure le case discografiche dell’epoca si siano lasciate sfuggire l’opportunità di fargli incidere le due arie più celebri di Fanciulla. Il ruolo di Jack venne scritto pensando a Pasquale Amato, baritono verista secondo tutti i canoni del caso ma, a mio parere, non particolarmente eccezionale. In locandina ci sono, ben altri 16 ruoli minori, ciascuno dei quali, ben definito vocalmente e non tutti privi d’asperità. Ancora una volta un riferimento wagneriano: ad opere colme di personaggi come "I maestri cantori".

Veniamo al nostro spettacolo. Si tratta di un riadattamento dell’allestimento prodotto della Los Angeles Opera negli Anni Novanta e già sperimentato, oltre che in varie città Usa, anche in Canada, Nizza e Torino. Le modifiche apportate dai laboratori del Teatro dell’Opera renderanno questa produzione, maggiormente compatibile ai palcoscenici europei.
Il dramma viene situato in un contesto chiaramente ispirato ai film Western in technicolor del periodo tra gli Anni Quaranta e gli Anni Sessanta. Ricostruzione minuta del saloon, del villaggio, delle montagne innevate; tormenta di neve in scena; cavalli veri, cavalcati da Daniela Dessì e da Fabio Armiliato; sparatorie; "dissolvenze"; cielo rosso nel finale. Molto curati i dettagli come sempre nelle regie di Giancarlo Del Monaco. Di livello la recitazione della ventina di solisti e del coro. Come è risolto il nodo della discrasia tra libretto e musica al secondo atto? Del Monaco tiene i letti separati (per i pochi minuti richiesti dal testo) ma segue la scrittura musicale e vocale (più che il puritano libretto). Come afferma prepotentemente la musica, la scena è fortemente passionale – e tale continua nella partita a poker e nell’abbraccio tra Minnie e Dick mentre cala il sipario (e la tormenta di neve si infittisce).

Ciò è in piena sintonia con quanto avviene nella buca d’orchestra. Gelmetti ha recuperato, nel caveau di Casa Ricordi, una versione della partitura arricchita da modifiche apportate dallo stesso Puccini e da Toscani. E’ leggermente più lunga di quella ormai nella prassi: dura circa due ore e 30 minuti rispetto ad esempio alle due ore 8 minuti dell’incisione di Capuana (con Tebaldi) e alle due ore 18 minuti di quella di von Matačić (con Nilsson). E’ soprattutto piů ricca, piů wagneriana (se si vuole) con un maggior peso ai legni ed ai fiati, con una maggiore attenzione a fare percepire i lietmotive e al sinfonismo. In tal senso, vale la pena ricordare che di recente Gelmetti e l’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma hanno messo in scena "Tristano ed Isotta"- un passo importante per darci una "Fanciulla" marcatamente differente da quella diretta da Alberto Veronesi a Torre del Lago e da quella di Giuseppe Patané ascoltata a Roma nel lontano 1983, piuttosto che l’edizione fiorentina di Donato Renzetti negli Anni Novanta od anche alla celebre edizione di Dimitri Mitropoulos di un lontano Maggio Musicale. Sono sottigliezze che possono essere apprezzate unicamente da specialisti ma che aprono un sentiero (siamo nel West dei tempi della febbre dell’oro) nuovo per le lettura di questa importante partitura.

In materia di voci, una prima notazione riguarda l’attenta scelta dei numerosi caratteristi per il vasto numero di ruoli, per così dire, minori a cui è affidato, ad esempio, il contrappunto polifonico iniziale ed il mergersi gradualmente con il coro nel finale. Non li citiamo individualmente perché ciascuno di loro merita un apprezzamento. Soffermiamoci invece sui tre protagonisti.

All’applausometro, Fabio Armiliato è stato il trionfatore della serata. Ha bissato, su grande richiesta del pubblico, "Ch’ella mi creda". E’ entrato perfettamente nel personaggio di Dick, anche grazie alla sua figura magra e slanciata che gli conferisce tutte le caratteristiche per essere un credibile cow boy. Al chiuso, si riesce a percepire, meglio di quanto non sia stato possibile fare a Torre del Lago nel luglio 2005, quanto e come Armiliato sia adatto per ruoli di tenore lirico spinto che richiedono una voce leggermente brunita, volume generoso ma anche buona estensione ed un dolce legato. Molto bello anche il luminoso finale in mi maggiore (con Minnie ed all’unisono con il coro) con cui termina la partitura.

Daniela Dessì giunge con Minnie ad un nuovo capitolo di una carriera iniziata con ruoli rossiniani e pergolesiani. Una carriera ben calibrata (che il 29 aprile a Bologna, si arricchirà del ruolo di "Norma") in cui ha saputo maneggiare attentamente l’evoluzione delle sue caratteristiche vocali. Come Minnie l’avevo già ascoltata a Torre del Lago quando, credo, debuttò nel ruolo. All’aperto, non è facile apprezzare la spontaneità (frutto di grande studio) con cui, come richiesto dalla parte, Daniela Dessì scivola dal declamato ai brevi ariosi (uno degli aspetti più difficili del ruolo). Nel primo atto, il suo ingresso (al momento della rissa) è imponente: affronta egregiamente quella che potrebbe essere considerata l’aria d’apertura, anche se aria non è ma frasi brevi che si concludono con una dissonanza che resta irrisolta sino alla frase successiva caratterizzata da un mutamento di armonia. E’ stata eccellente nel terrificante (vocalmente parlando) secondo atto, tanto nella scena passionale con Dick quanto nella partita a poker con Jack. Nel terzo atto, il ruolo è relativamente breve, ma riesce a trasmettere efficacemente il punto centrale: il climax della resa che da un verso affidato a lei sola viene cantato dai solisti e da tutto il coro. Applaudita a scena aperta e nelle numerose chiamate al termine dello spettacolo.

Merita un elogio (non alla carriera ma all’interpretazione specifica) Silvano Carroli, un Jack Rance a tutto tondo. Libidinoso nel secondo atto; distrutto dagli avvenimenti nel finale; particolarmente bravo nel breve arioso del primo atto.

Giuseppe Pennisi

 

Wanted in Rome
09/04/2008

Opera Review
La Fanciulla del West

John Fort

La Fanciulla del West, first sung at New York’s Met in December 1910 in a star-studded production, Destinn as Minnie, Caruso as Dick Johnson and Toscanini as conductor, is a rollicking plot of life in the Far West during the Gold Rush, which gives Puccini full scope to display all his enormous skills at winding up tension and tugging at our hearts with brief and poignant arias. The tale is true melodrama, but powerful, with promises of dire tragedy and damned love; however, all ends happily, Minnie and Dick galloping off to start a new life.

Giancarlo Del Monaco is responsible for the production, a miracle of economy of gesture and movement, the costumes, fairly conventional cowboy but very effective, and sets, which are, quite simply, spectacular, particularly so in Act II. Snow falls relentlessly during the whole act, adding immeasurably to the drama evolving in Minnie’s cabin. The appearance of the odd live horse also adds greatly to enjoyment.

Gianluigi Gelmetti conducts with all his customary verve and with enthusiatic immersion in the complexities of the score, displaying at the same time an exquisite sensitivity towards the singers battling with very serious demands of their roles.

The main protagonists are generous. Minnie is Daniela Dessì, who with strong voice and endless range of tone inflections conveyed myriad subtleties of emotion, while also displaying extraordinarily moving acting abilities. The tenor, Fabio Armiliato, another highly talented singer, heroic in presence and voice, was Dick Johnson. In a very rare break with opera theatre etiquette and to the insistent demands of the audience, he was forced to sing an encore of ‘Ch’ella mi creda libero e lontano’, one of Puccini’s greatest and best-loved melodies, in which he declares his love for Minnie and begs that she should never know his fate. A show-stopper. Silvano Carroli is oustandingly professional with a beautiful voice and gives a superb performance as sheriff Dick Rance, a difficult role, in which he is the villain of the piece and at the same time wins our sympathy as the disappointed lover.

A wonderful evening.