Il Giornale di Vicenza
mercoledì 13 agosto 2008

TEATRO. IN SCENA A PESARO "L’EQUIVOCO STRAVAGANTE", VIETATO NEL 1800 DALLA POLIZIA
Applausi per l’opera buffa "a luci rosse" di Rossini

Cesare Galla
da Pesaro

"L’equivoco stravagante", opera buffa bolognese di un Rossini diciannovenne (ottobre 1811) e secondo lavoro in assoluto della sua carriera, ha una storia singolare. Dopo appena tre rappresentazioni, infatti, lo spettacolo venne vietato dalla polizia e il titolo sparì, salvo sporadiche apparizioni nel corso dell’Ottocento e del secondo Novecento, fino alla riesumazione in edizione critica avvenuta nel 2002, naturalmente al Rof. Nonostante la censura preventiva, il testo era stato considerato troppo licenzioso e "immorale", irto com’è di doppi sensi, battute salaci, allusioni pesanti in una storia già di suo bizzarra sempre sul versante del sesso, visto che vi si racconta del trucco con cui una fanciulla si libera di un pretendente non gradito (per volare naturalmente fra le braccia di quello gradito): far credere di essere un uomo travestito e per di più un evirato, sottoposto alla crudele operazione in vista di una carriera musicale poi mai avvenuta. Un "Rossini a luci rosse", com’è stato detto, basato su di un libretto (autore il semisconosciuto Gaetano Gasbarri) che dopo essere stato a lungo e pesantemente vituperato per la sua pochezza poetica oggi gli studi più recenti tendono a rivalutare per farne una sorta di "campione" di parodia (del linguaggio aulico dell’opera seria) e di autoparodia (con la costante deformazione grottesca di termini comuni). Per dire, è stato fatto il nome di Totò, si è citato l’avanspettacolo dagli anni Trenta in avanti. E per conto nostro potremmo aggiungere anche il cinema di serie B delle scollacciate e infinite serie di "Pierini" o "insegnanti".

Seguito in scena tenendo presente questa linea esegetica, il testo finisce per assumere una sua straniante attualità, la stessa che il regista spagnolo Emilio Sagi (con la collaborazione di Francesco Calcagnini per le scene e Pepa Ojanguren per i costumi) mette a fuoco nel suo spettacolo al teatro Rossini di Pesaro: colori rutilanti, volgarità e sciatterie debordanti, allusioni alle maniere rappresentative più banali della tv, parodia spietata dell'arrivismo, della stupidità degli arricchiti e così via. Tutti temi ben presenti nell’opera, trattati con la verve caricaturale che appunto il libretto non solo consente, ma postula. E il risultato è uno spettacolo di corrosiva vena satirica, costantemente e volutamente sopra le righe grazie anche alla recitazione di tutti i cantanti, bravissimi nella recitazione innaturale.

Per parte sua, il direttore Umberto Benedetti Michelangeli, alla guida dell’orchestra Haydn di Bolzano e Trento, si incarica di dare sostanza all’invenzione rossiniana, acerba naturalmente sul piano della forma e dello sviluppo drammaturgico, ma già in vari luoghi rivelatrice del genio nascente, a partire dal corposo Quintetto del secondo atto. Lettura asciutta, tesa nei tempi e vivace nei colori, quella di Benedetti Michelangeli, che non si concede troppo alle morbidezze liriche (del resto solo fuggevoli nella partitura) per sottolineare piuttosto anche in buca la vena comica più esteriore. Due russi molto giovani - corifei di una scuola sempre più agguerrita - protagonisti in grande evidenza. Sono Marina Prudenskaja, debuttante assoluta al festival, e Dmitry Korchak, alla sua seconda apparizione pesarese. Lei è un contralto estremamente interessante, con voce di gran peso al grave ma duttile, capace di salire senza problemi assai in alto e di ricamare la coloratura in piena agilità; lui un tenore di bel timbro chiaro e svettante, che fraseggia con elegante trasporto nel ruolo dell’amoroso che avrà alla fine partita vinta. Il pretendente scornato è il basso-baritono veronese Marco Vinco, fluente e in voce con grande espressività; nel classico ruolo di padre stupido e fanfarone canta e recita un magistrale Bruno De Simone, straordinario per sapienza stilistica e verve comica. Bene anche i comprimari Amanda Forsythe e Ricardo Mirabelli, coppia di servi maliziosi. Teatro Rossini gremito e plaudente

Repliche domani, domenica 17 e venerdì 22.

 

LA STAMPA
15 agosto 2008

OPERA
Rossini all’Almodóvar
PAOLO GALLARATI


Una scena de L'equivoco stravagante.

Bologna, 1811: Gioachino Rossini presenta l’Equivoco stravagante, bocciato dalla censura perché l’equivoco riguarda la supposta transessualità della protagonista. La partitura è meravigliosa per freschezza, novità, arguzia, vivacità, energia. A 19 anni, Rossini entra come un ciclone nel mondo dell’opera buffa: distrugge e rinnova. L’incanto, però, è completamente sfiorito al teatro Rossini di Pesaro. La regia di Emilio Sagi con i costumi di Pepa Ojanguren, ha il triste destino di chi vuol fare dello spirito senza riuscirci. Modernizza l’ambientazione in chiave grottesca, ma il risultato è una noia opprimente: troppo scontato, ormai, vedere le cameriere sculettanti che attraversano il palcoscenico, la fantesca con la lucidatrice, il letto rosso con specchio postribolare, il petting spinto dei due protagonisti, il costume da boss mafioso e quello da donna fatale, i carabinieri che giocano con i manganelli, la festa gay conclusiva, tutto un armamentario che, invece di sottolineare l’azione, la disperde.

Modesta anche l’esecuzione. Attorno a un professionista come l’eccellente Bruno De Simone (Gamberotto), gravitavano giovani smarriti: né Marina Prudenskaja né Marco Vinco hanno idea di che cosa sia la grazia, l’eleganza e, soprattutto, la tecnica del canto rossiniano. Meglio se l’è cavata il giovane tenore Dmitry Korchak nella parte dell’innamorato Ermanno, ma deve lavorare molto per piegare una voce promettente all’ideale di morbidezza del belcanto italiano. Deliziosa nella sua arietta, invece, è parso il soprano Amanda Forsythe (Rosalia). Dal podio, Umberto Benedetti Michelangeli, alla guida dell’Orchestra Haydn, ha curato più il solfeggio che il fraseggio e raramente ha impresso all’orchestra rossiniana la sua spinta alata, preferendo dedicarsi alla tenuta dell’assieme.

Pesaro, fino al 22 agosto

 

L’Avvenire
14 agosto 2008

Il Rossini Festival chiude tra routine e trionfi
A Pesaro diverte ma non brilla l’"Equivoco stravagante" Entusiasma invece il dramma "Maometto II" con la regia di Hampe e un autorevole Pertusi nel ruolo del protagonista

di VIRGILIO CELLETTI

Dopo uno spensierato e caciarone Equivoco stravagante nello storico Teatro Rossini, il festival pesarese è tornato all’Adriatic Arena e alla tragedia dei sentimenti con Maometto II, un drammone appartenente al periodo napoletano del grande operista. In Rossini è facile trascolorare dal drammatico al giocoso, anche se poche volte una vicenda comica è tale fino in fondo, e quasi sempre un po’ fa pensare. Non però l’Equivoco stravagante, tutto votato alla spensieratezza e a un’allegria ridancia- na. Caratteristiche in questo caso esaltate dalla regia di Emilio Sagi che ha dato luogo a un allestimento tra il musical e ( per quanto riguarda il taglio delle gags) il cabaret, se non addirittura l’avanspettacolo d’una volta. Scorrevole ma niente di più la resa musicale affidata alla direzione di Umberto Benedetti Michelangeli, mentre nel cast spiccavano la vèrve di Bruno De Simone e la bella voce di contralto di Marina Prudenskaia. Routine, dunque. Il pubblico comunque ha gradito, riservando a tutti un applauso altrettanto colorito e chiassoso.

E se del pubblico ci si deve fidare, bisogna riconoscere che il Maometto II dell’altra sera può invece essere tranquillamente annoverato tra le realizzazioni del ROF più convincenti degli ultimi tempi. Certo mancava il fattore sorpresa che 23 anni or sono caratterizzò (sempre a Pesaro) la riscoperta di quest’opera. Stavolta come allora va apprezzata innanzitutto la regia passata dalle mani di Pier Luigi Pizzi (1985) a quelle di Michael Hampe. In entrambi i casi ci si è scrupolosamente attenuti al rispetto dell’epoca e dei luoghi in cui l’opera è ambientata, tanto più che si tratta di una vicenda dal preciso riscontro storico: il conflitto fra turchi e veneziani negli ultimi decenni del ’ 400 e la conquista da parte del sultano (Maometto II, appunto) della colonia di Negroponte. Per fortuna Hampe non è stato neppure sfiorato dalla tentazione di sfruttare questo storico avvenimento come spunto per affrontare l’odierno conflitto tra Occidente e Oriente. Assai convincente anche la prestazione della compagnia di canto. Autorevole vocalmente e come personaggio, Michele Pertusi era il sultano che nasconde la sua vera identità ad Anna (Mariana Rebeka, un soprano rivelazione che affronta con disinvoltura le fioriture e i passi d’agilità), facendola innamorare. Ma la giovane, per amore filiale e di patria, accetta di andare in sposa a Calbo (Daniela Barcellona, che come in Tancredi dà la sua splendida voce a un personaggio maschile), un ufficiale di suo padre (Francesco Melli) comandante della colonia veneziana. Ma è ormai prigioniera del sultano e, pur di non tradire, si toglie la vita. Gustav Kuhn ha diretto con vigore l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, forse eccedendo un po’ nei volumi.

 

THE STAGE
Tuesday 19 August 2008

L’Equivoco Stravagante

by David Blewitt

Emilio Sagi’s 2002 staging of L’Equivoco Stravagante (1811) was a stinker. So why revive it? Because two apologists, in their programme notes, press for an urgent reassessment of the librettist Gaetano Gasbarri’s scurrilous, at times surreal, text, universally blamed for the work’s failure and neglect.

However, the 19-year-old Rossini’s score, if not vintage, has memorable moments aplenty, which bring subtlety and depth to character. The ingredients for success exist.

Gasbarri’s plot has a servant duo enable young Ermanno to get his girl Ernestina, the bookish daughter of the bourgeois Gamberotto, who has betrothed her to the preening but wealthy Buralicchio. They convince the latter that Ernestina is a "castrato".

Sagi updates to c 2002. Gamberotto is a financially successful purveyor of fruit and veg, his warehouse and offices furnished with an expensive, brutalist vulgarity. So why his need to marry off Ernestina wealthily? How explain away the castrato con in a contemporary context?

Worse still, Sagi presents Ernestina, from her first appearance dressed in hideous black plastic, as a sexual predator unlikely to care whom she marries, or beds, so her character cannot evolve and mature.

However, neither the updating nor the change of setting offend so much as the director’s wilful disregard for Rossini’s and Gasbarri’s original. The apologists, of course, have nothing to say about the production.

The travesty staging wastes a fine cast of singers, while indifferent conducting often results in murky textures and a hazardous rapport between pit and stage. A dispiriting evening.