Stasera il capolavoro di Rossini apre la stagione della Scala. MILANO - Sette dicembre, domenica delle palme. La stagione della Scala che apre stasera con Moïse et Pharaon di Gioachino Rossini avrà come sfondo la sala del Teatro degli Arcimboldi decorata con duemila foglie di palme, intrecciate con perizia, in evidente citazione di quell’arte figurativa egizia prevista da un’opera faraonica per soggetto e durata (quattro atti, cinque ore, intervalli compresi). Fasti della cornice temperati in scena dall’allestimento, poco legato all’iconografia classica dell’antico Nilo, voluto da Luca Ronconi, Gianni Quaranta, Carlo Diappi, rispettivamente regista, scenografo e costumista dello spettacolo. La scelta severa, ma non priva di emozionanti colpi di scena, è ovviamente condivisa da Riccardo Muti, che porta per la prima volta nel cartellone scaligero la monumentale edizione in francese realizzata da Rossini per Parigi. Ampliato secondo i criteri del Grand Opéra , arricchito di un balletto, l’originario Mosè in Egitto composto qualche anno prima per Napoli, diventa così Moïse et Pharaon, ou Le passage de la Mer Rouge. Opera di ardua vocalità, che fra gli altri vedrà impegnati Ildar Abdrazakov (Moïse), Erwin Schrott (Pharaon), Barbara Frittoli (Anaï), Giuseppe Filianoti (Aménophis), Sonia Ganassi (Sinaïde). EGITTO. Ultimo Sant’Ambrogio al Teatro della Bicocca. Dal 7 dicembre 2004 si torna al Piermarini rinnovato con L’Europa riconosciuta di Salieri, titolo simbolico, lo stesso che tenne a battesimo la vecchia Scala nel 1778. A curarne la messa in scena ancora Ronconi, di certo a suo agio in quel trionfo del teatro barocco. E l’amato barocco il regista trova modo di richiamarlo anche in questo Moïse, già applauditissimo venerdì sera alla prova generale. Dopo i primi due atti improntati a un severo rigore scandito dalle pallide dune del deserto e dal bianco e nero dei costumi, il gigantesco organo da chiesa, elemento cardine dell’opera, si trasforma nel terzo atto in una sorta di cattedrale dorata. "Tempio di Iside, ma anche segno di splendori barocchi e di una chiesa trionfante", avverte lo scenografo Quaranta, che ha ideato i due palchetti-pulpito da cui si affacciano sacerdoti egizi addobbati come vescovi, con tanto di mitria e pastorale. "Una specifica richiesta di Luca Ronconi", spiega Diappi. Il regista, infatti, ha dichiarato che, pur non volendo attualizzare in alcun modo l’opera, né alludere al conflitto tra ebrei e palestinesi, la lettura di quest’episodio biblico "è strettamente iscritta in un ambito di religiosità cristiana, per non dire cattolica". "E le fedi monoteistiche non sono mai tolleranti, conducono a guerre di religione", chiosa Quaranta. PRODIGI. Spettacolari ma artigianali i colpi di teatro: il blackout clamoroso di Mosè, che prima oscura il sole sull’intero Egitto e poi lo riaccende, l’organo che s’infiamma e si spacca in due, il deserto che si trasforma in mare, si apre per far passare il popolo eletto e si richiude inghiottendo i "cattivi" egizi... "Quest’ultimo effetto ci tiene sempre con il fiato sospeso - assicura Quaranta -. Il meccanismo che separa le onde è complesso, inoltre in quel momento in scena ci sono un centinaio di persone". "Una sera, a una prova, il mare non si è proprio aperto. Abbiamo rischiato di cambiare la storia", svela con la consueta ironia Ronconi. Pochi, come si è detto, i richiami all’antico Egitto: un paio di sfingette, quasi due gattoni, qualche tocco d’oro nelle vesti ("Un oro eroso dal tempo, da reperto archeologico", commenta Diappi). BALLETTO. In compenso, il balletto, di Micha Van Hoecke, prevede, accanto a una Luciana Savignano scintillante Iside, una mummia dalle bende sinistre e svolazzanti, mentre i danzatori si muovono di profilo nella tipica gestualità egizia e Roberto Bolle- Mosè sfida all’ultimo passo virtuosistico il giovane Faraone Desmond Richardson. "Queste danze, insieme con l’introduzione del primo atto, quasi tutto il terzo, e la grande aria finale di Anaï rendono l’edizione francese ben più ricca rispetto a quella napoletana", ha spiegato Philip Gossett, musicologo rossiniano, ospite, con Gianfranco Ravasi e Fabrizio Della Seta, del convegno ieri al Museo della Scala, dove da oggi è aperta una mostra curata da Vittoria Crespi Morbio sui bozzetti storici del Mosè e sui segreti dell’allestimento di Ronconi. PLATEA. Lo spirito ecumenico di Moïse (stasera l’opera in diretta su Radiotre), farà sì che tra gli spettatori ci saranno monsignor Ravasi ma anche il rabbino capo di Milano Giuseppe Laras. Pochi i politici, i ministri Sirchia, Stanca, Tremonti, molti i personaggi della cultura, da Pivano a Pomodoro, da Dorfles a Siciliano. All’ultimo minuto hanno invece dato forfeit Gianni Letta e Marco Tronchetti Provera. Laura Dubini e Giuseppina Manin |
Muti: io, Rossini e i prodigi corali del "Moïse" "Non a caso Verdi studiò tanto l’opera, nel Nabucco se ne ritrovano impatto sonoro ed emozioni" Il Moïse e Pharaon, l’opera di Rossini che domani sera inaugurerà la stagione 2003-2004 della Scala, è ormai definita anche nei dettagli. Riccardo Muti, il direttore, parla dell’opera. Con un sorriso, piccoli compiacimenti per il lavoro ultimato. E non senza un velo di preoccupazione, qualche sospiro, ancora una consultazione della partitura: ma questi sono quasi dei riti propiziatori prima di salire sul podio il giorno di Sant’Ambrogio e affrontare le luci dell’avvenimento principe della musica italiana. Allora, maestro Muti, come le sembra questo Moïse et Pharaon ora che il lavoro è terminato? "Terminato? Domani sera sarà la parte più impegnativa. Ma, battute a parte, debbo confessare che quest’opera di Rossini è di una bellezza capace di sorprendere e richiede un particolare impegno musicale". Come il Guglielmo Tell? " Beh, il Guglielmo Tell è più vasto; tuttavia il Moïse et Pharaon contiene una tale varietà di avvenimenti, di cambiamenti di tempo e una pulsione ritmica sempre così concitata che alla fine diventa più faticosa di Guglielmo Tell". Forse quest’ultima ha delle arcate più vaste e anche più ampie zone di riposo... "Sì, direi che il Moïse et Pharaon è un lavoro più impegnativo da evocare. E anche l’argomento in cui si svolge la storia - l’amore tra i due giovani che si intreccia con le vicende del rapporto tra egiziani ed ebrei - richiede una certa attenzione e qualche volta può dar adito a delle piccole confusioni". Intende parlare delle licenze storiche che la trama si è presa nei confronti della Bibbia? "Come si può tacere che a un certo punto Mosè fa comparire l’arcobaleno (ma il fatto avvenne a Noè, dopo il diluvio) e che le tavole della legge le trova in un roveto e non va a riceverle sul Sinai". Questi aggiustamenti sono però il sale delle storie raccontate dalla lirica... "È vero, anche perché al di là della confusione c’è in quest’opera un fortissimo senso religioso. Non voglio dire che c’è l’esaltazione di una fede e l’odio per l’altra, ma un bisogno di religione che permea ogni scena". Fu probabilmente questo aspetto che colpì Verdi? "Anche e non solo. Verdi studiò a fondo la partitura. Ad esempio, all’inizio, quando il coro irrompe nell’opera si ripete la medesima situazione drammatica e musicale che c’è in Nabucco. L’impatto sonoro e le emozioni sono molto simili. Gli ebrei che soffrono e piangono nel Moïse sono i medesimi di quelli si ascolteranno nel Nabucco". Verdi, in altre parole, lavora su quest’opera. Ma a quali compositori si è ispirato Rossini? " Potremmo cominciare ricordando tre grandi: senza Spontini, Cherubini e Gluck, il Moïse et Pharaon non sarebbe nato...". E quando andò in scena, quale fu il giudizio dei contemporanei? "Stendhal, che era presente alla prima edizione di Napoli del 1818 (era in tre atti e si chiamava Mosè in Egitto , mentre il Moïse et Pharaon di Parigi è del 1827 ed è quello che domani sera andrà in scena, completissimo in tutte le sue parti) ne fu entusiasta. Certo, in quell’occasione capitò di tutto, tanto che nell’attraversamento del Mar Rosso un decoratore e un capomacchinista finirono anch’essi nelle acque. Ma, ilarità a parte, occorre ricordare che l’edizione di Parigi ebbe il plauso di Berlioz oltre che di Cherubini, e ad essi si aggiunse Balzac. Il che non mi sembra poco". Passiamo alle difficoltà, invece. Quali sono quelle che deve affrontare l’orchestra? "Non le elenco tutte. Dirò che Rossini scrisse quest’opera per un’orchestra di grande valore. Basterà notare che si richiede un grande virtuosismo per i legni, il corno, le arpe. E ancora: ci sono grandi assoli di oboe, di clarinetto, di flauto. E per tutta l’opera i violini primi devono dare prova..." Mi scusi maestro, le voci... "Le difficoltà dell’orchestra sono anche quelle del coro, che in quest’opera si può considerare coprotagonista. I solisti inoltre hanno parti impervie. L’aria finale di Anaïde, ad esempio, è al limite dell’eseguibilità, per la vastità dell’aria stessa e la ripetitività di note in un registro molto acuto, per le agilità che vengono richieste. Ma al di là dei numerosi casi, delle capacità richieste al tenore e al soprano e ai due bassi (che sono Mosè e il Faraone), occorre ricordare che la musica di quest’opera è di tale bellezza che non può essere annoverata in quel genere di cui si attende questa o quella famosa romanza". C’è poi la celebre preghiera finale Dal tuo stellato soglio... "Verdi la definì, giustamente, una "piramide di melodie". È un momento di intensità unica, ma è anche un patrimonio della nostra tradizione. Sino a qualche decennio fa era molto conosciuta. Mi ricordo di averla cantata a scuola". Maestro, lei domani sarà sul podio della Scala, il giorno successivo dovrà essere già in viaggio per Venezia per l’inaugurazione della Fenice. Poi il concerto di Natale, ancora a Milano. E come se ciò non bastasse sarà lei a dirigere il concerto di Capodanno a Vienna... "Si, è molto, ma ho pianificato il tutto. E ho lavorato con intensità, tenendo presente quel che è scritto nei testi sacri: a ciascun giorno basta il suo affanno". A proposito di testi, maestro, l’ultima volta che ci siamo incontrati stava rileggendo le Confessioni di Agostino. Ora cosa c’è sul suo comodino, dopo giornate così dense? "Sto leggendo nei pochi momenti liberi di questo periodo "La filosofia di Seneca come terapia dei mali dell’anima", di Giovanni Reale (pubblicato nei tascabili Bompiani, n.d.r.). Mi sta aiutando molto". Ha ragione Muti: Seneca aiuta da due millenni il prossimo; e ci viene da aggiungere: senza farlo pesare. Continuerà. Peccato che Nietzsche lo abbia definito il "toreador della virtù": evidentemente non era in sintonia con lo stoico romano. Ma Nietzsche non aveva un buon carattere. Anche se amava la musica. |
Ronconi: nel mio «Moïse» prodigi senza effetti speciali
VERSIONE FRANCESE - Con spirito, Luca Ronconi, interrotte per un' ora le intensissime prove dell'opera (presentata per la prima volta dalla Scala nella versione francese che debuttò al Théatre Impérial de l'Opéra di Parigi nel 1827), racconta lo spettacolo che vedrà, oltre a Muti sul podio, un grande cast formato da Ildar Abdrazakov (Moïse), Erwin Schrott (Pharaon), Barbara Frittoli (Anaï), Sonia Ganassi (Sinaïde) Giuseppe Filianoti (Aménophis) e Giorgio Giuseppini(Osiride), coro al completo guidato da Bruno Casoni. Le scene sono di Gianni Quaranta e i costumi di Carlo Diappi che ha scelto il nero per connotare il popolo ebreo e il bianco per il mondo egiziano. Le coreografie di Micha van Hoecke sono interpretate da Luciana Savignano, Roberto Bolle (da questa stagione primo ballerino della Scala) e Desmond Richardson. CONFLITTO RELIGIOSO - Moïse et Pharaon ou Le passage de la Mer Rouge è nata prima come oratorio, poi è stata trasformata in opera italiana e quindi è diventata francese. Una genesi che per Ronconi deve essere mantenuta anche nella rappresentazione a più livelli. L' impianto scenico è unico per tutti i quattro atti, circa 5 ore compresi i tre intervalli. «All' interno dell' opera il conflitto è tutto religioso non si parla minimamente di tensioni politiche - sostiene il regista -. E anche dal punto di vista musicale, non c' è una caratterizzazione dell' aspetto ebraico e di quello egizio. Tutto resta nell' ambito di una religiosità cristiana per non dire cattolica. In scena si vedrà un gigantesco organo: fra oratorio, cristianesimo e cattolicesimo ci sta proprio bene». Un imponente organo si stagliava anche nell' allestimento della stessa opera che Ronconi firmò a Parigi nel 1983. Ma, questa nuova messa in scena assicura il regista è totalmente diversa. «Allora era più leggera nel senso rossiniano del termine, con costumi settecenteschi e persino l' organo istoriato con scene bibliche ispirate al Serpotta. Qui è tutto più severo». L' imperioso strumento, alto otto metri e decorato da lesene, nel primo atto, il più spirituale e religioso, quando Mosè fa calare le tenebre si spaccherà in due. Nel terzo atto, quello dell' apparenza e della rappresentazione, che più indulge al carattere francese, apparirà sovrastato da un sole sfolgorante che si frantuma, simbolo del simulacro di Iside. Il quarto atto è dominato dal deserto, luogo astratto e di preghiera. LA SCENA FINALE - «Per la scena finale delle acque del Mar Rosso ho usato un certo armamentario... Ma, ripeto, nessun artifizio. Ho perfino eliminato la verga che diventa serpente, un giochetto alla portata di tutti a carnevale». Muti non ha apportato alcun taglio, ci sono le danze, ci sono tutti i recitativi. E in quanto ai personaggi? «Mosè è monolitico, privo di cedimenti, uomo di tutta fede - afferma Ronconi -. Gli altri sono più ambigui, più sfumati. Come Aménophis e Anaï pervasi da amore e odio. Rendo statico Mosè non certo perché manchi di spessore e profondità, ma proprio perché la sua figura statuaria si stagli imperiosa tra la mobilità degli altri. Ci sono, poi, tantissimi interventi corali e recitativi molto sviluppati a cui assicuro una fluidità narrativa». Come è il Rossini serio di Moïse et Pharaon? «Il compositore rivela un certo spirito di devozione - risponde Ronconi -. Non so se è autentico o culturale. Ma si sente». Laura Dubini |
VERSO LA PRIMA / Il ventisettenne basso russo Ildar Abdrazakov racconta come si sta preparando all'opera di Rossini
Quali altre "magie" le riserva il libretto?
Giuseppina Manin |
Un ruolo fondamentale per il complesso guidato da Bruno Casoni MILANO - Con pagine accorate e piene di pathos ed emozione, il Coro apre e chiude il Moïse et Pharaon ed è una presenza importante e imponente in tutta l’opera. Tanto che lo stesso Muti lo fa assurgere a coprotagonista insieme con i solisti. Dopo la breve ouverture, la scena che si apre è dominata dai 95 artisti del coro nei panni del popolo ebreo che sofferente e addolorato invoca "Dieu puissant...". Un canto drammatico che per impatto sonoro e per emozione ricorda l’inizio del Nabucco. "Verdi si è certamente ispirato a questa pagina, anche se la sua musica è molto diversa - commenta Bruno Casoni, maestro del Coro della Scala -. Nel Moïse la presenza del Coro è molto intensa e con pagine diversificate nello stile, etereo nel pianissimo e di grande impatto sonoro nel fortissimo. Quest’opera esalta le caratteristiche del nostro complesso, che ha un colore e un suono ineguagliabili". Un Coro chiamato ad affrontare difficoltà di estensione soprattutto per le voci maschili, perché la scrittura dei tenori è acuta, impervia e anche con i bassi Rossini non è clemente. Inoltre, il Coro è disposto dal regista Luca Ronconi dilatato in palcoscenico, spesso accovacciato. In quanto ai problemi di dizione, un basso francese, Gérard Colombo, ha generosamente assistito i suoi colleghi. "Abbiamo curato la pronuncia già in luglio - racconta Lucia Bini, contralto -. Ci vuole tempo per abituarsi alla tessitura vocale. E Rossini richiede tessiture estreme, bravura nell’adattare vocalità e sonorità. Ma per noi è importante affrontare opere di un repertorio non consueto. Ci sono raffinatezze non comuni a tutti i Cori. Con Riccardo Muti e con il maestro, Bruno Casoni, stiamo percorrendo un cammino che ci permette di continuare a crescere e ricercare profondità artistiche". Il Coro, al completo, si è già meritato venerdì sera, alla prova generale, un’ovazione. Ed è da additare anche alla sua forte presenza in scena la scelta di Muti a riporre la bacchetta per dirigere con le sole mani. Un modo per meglio trasmettere intenzioni e morbidezze, specie nell’excursus dinamico della preghiera del gran finale "Des cieux où tu résides (Dal tuo stellato soglio)" che va dal pianissimo a un’intensissima sonorità. L. Du. |
IL BALLETTO
"Ho pensato di costruire questo balletto - dice Van Hoecke - come una proiezione dello spirito dei personaggi dell'opera, non per rifarne la storia a passo di danza. Di fronte a una divinità superiore, un po' arcaica, ma al tempo stesso partecipe della tragedia che sta per compiersi, di fronte a una Iside che ho recuperato dai segni figurativi dell'Antico Egitto e che ha una gestualità sacrale, stanno i rappresentanti dei due poteri opposti. Mosè, che chiede al Faraone "libera il mio popolo", e il Faraone, che prima accoglie la preghiera e poi mette gli ebrei in catene, si affrontano in una lotta violenta, simbolo del loro potere e della assolutezza delle fedi. La musica di Rossini è possente, aiuta a costruire personaggi di ferro e di pietra, permette di affidare agli uomini passi virtuosistici. E mi offre lo spunto, nell'aria più dolce del Ballo, di dedicare a Luciana Savignano un momento, credo, di pura poesia".
Per Roberto Bolle questo spettacolo è nuovo in tutti i sensi: "Io interpreto sempre personaggi che tutti amano e conoscono, faccio il grande repertorio, ma questa volta c'è una parte costruita proprio su di me e che devo fare mia anche da dentro, dal profondo del cuore. E' un ruolo da condottiero, da uomo maturo: ne sono davvero affascinato". Con una corta barba e in tunica nera, Bolle sfida il coloured Desmond Richardson, un faraone come ovvio in tunica bianca. Richardson apprezza la coreografia muscolare e ieratica che Misha gli ha suggerito, ma il suo cuore sta dalla parte di Mosè. "Naturalmente – conclude Van Hoecke - l'idea di questo confronto è astratta, ma nel mondo sacerdotale la presenza di Mosè provoca un grande turbamento. Di qui nasce la fuga dall'Egitto, guidata da Dio, mentre Iside non basta a salvare l'esercito del faraone". Mario Pasi |