VENEZIA Venezia. Forse non c'è un discrimine "estetico" tra il Galuppi serio e quello comico. Il Buranello operò in entrambi gli ambiti con consumato mestiere, stimolato soprattutto dai cantanti. Una produzione di elevato artigianato nell'ambito dei drammi per musica e di spigliato realismo nell'opera buffa, grazie alla collaborazione con Goldoni. Nella "Olimpiade " rappresentata al Malibran, con la competenza musicologica di Rossi e Marcon, l'originale di Metastasio - punta di diamante della drammaturgia settecentesca - dopo il debutto viennese per la musica di Caldara subì varie manomissioni e alterazioni. Il geometrico rapporto tra parti narrate (i recitativi) e parti liriche (le arie) venne alterato. Al Regio Ducal Teatro di Milano nel 1747 Galuppi poteva disporre di una compagnia di elezione. I tagli delle parti recitate furono drastici, ma di fatto non nocquero alla rappresentazione e ne nacque un'opera da concerto, in funzione dello spericolato virtuosismo delle voci.Galuppi ebbe dei predecessori, come Haendel o Vivaldi? È probabile, piuttosto, che si sia adeguato al costume del tempo, a prassi compositive ed esecutive che erano nell'aria e che facevano parte di impulsi culturali. Di fatto in questa "Olimpiade " non c'è una forte drammaturgia, c'è il gioco delle coppie Licida e Argene, e Megacle e Aristea, in bilico tra l'amicizia e passioni amorose incrociate, poiché Licida è preso sia di Aristea, l'amante dell'amico Megacle, sia da Argene, cui è legato da un'antica relazione. Su questo nodo drammaturgico, con una gara truccata (l'Olimpiade) si innestano gli intrighi di corte, che si risolvono però nella clemenza del re Clistene, che scopre in Licida suo figlio: le coppie così si riuniranno in un placido lieto fine. Ma allo spettatore di oggi non interessa la vicenda, quanto la esibizione delle arie, particolarmente accattivante anche per la presenza al Malibran di una compagnia che sembra riesumare i virtuosismi dei cantanti settecenteschi. Soprattutto nel second'atto Galuppi espone una affascinante successione di arie che paiono quasi riassumere gli "aspetti" dell'opera. "Se cerca, se dice" di Megacle, in cui il canto patetico si carica di una dolente ansietà, "l'aria di furore" di Aristea "Tu me da me dividi". E ancora: "Son qual per mar turbata" di Argene e "Gemo in un punto estremo" di Licida, portano alla ribalta i quattro protagonisti, o le due coppie, con intensi e spettacolari pezzi di bravura, esaltati dall'esecuzione, con la ripetizione variata della prima parte, rigorosamente voluta dal direttore. Ne escono brani vasti e complessi ma anche vari nelle ornamentazioni. Ricorderemo il mezzo soprano Romina Basso, Megacle di struggente e appassionato fervore e tutti gli impeccabili protagonisti: la strepitosa Roberta Invernizzi (Argene), Ruth Rosique (Aristea), Franziska Gottwald (Licida). E ancora: Mark Tucker (Clistene), Filippo Adami, Furio Zanasi. Lo spettacolo riprende quello proposto al Malibran nel 2001 per l'"Olimpiade" di Cimarosa. L'adattamento all'"Olimpiade" di Galuppi è felicemente riuscito. Scene di rara finezza di Francesco Zito: una bianca leggera struttura fissa quadrangolare, con abbozzi di giardini e di architetture settecentesche come acquerellati; costumi settecenteschi di sontuosa eleganza, pure di Zito. La regia di Dominique Poulange sfrutta l'essenziale allestimento per creare un lineare, elegante discorso teatrale. Luci ben calibrate da Fabio Barettin. Eccellente l'Orchestra Barocca di Venezia diretta con consapevolezza stilistica da Andrea Marcon, cui si deve appunto, assieme a Franco Rossi, Steno Rossi e la Genewein, la riuscita di questa "Olimpiade". Mario Messinis | |
L'Olimpiade di Galuppi: tra passione e contemplazione Passione e contemplazione:in questo binomio pare condensarsi l'essenza de l'Olimpiade riproposta da Andrea Marcon,alla guida della Orchestra Barocca di Venezia e di un eccezionale cast di cantanti. Il ritmo scenico introspettivo dilata la concentrazione espressiva esaltando l'intarsio psicologico dei protagonisti, di cui viene posto in luce il già kantiano conflitto tra rigida osservanza dei valori morali e irresistibilità degli impulsi sensibili. Un sottile senso di morte e desiderio autosoppressivo incombono sull'opera, giocata specularmente sull'incrocio delle coppie di amanti e amici che si intrecciano nella suggestiva scatola scenica ideata da Francesco Zito, la stessa utilizzata dalla Fenice per l'allestimento de L'Olimpiade di Cimarosa nel 2001. Brillano in particolare le vocalità di Romina Basso, che dà volto emozionante alla figura generosa di Megacle, e quella di Franziska Gottwald, che interpreta con drammaticità il ruolo di Licida, l'antieroe potenziale parricida, ideato da Metastasio traendo ispirazione dal mito edipico. Marck Tucker tratteggia con regale nobiltà il personaggio di Clistene mentre Ruth Rosique scolpisce un'Aristea vibrante di accesi contrasti. Alla tenera morbidezza che avvolge l'Argene di Roberta Invernizzi, fanno eco la dolcezza suadente di Alcandro, affidato a Furio Zanasi, e l'intensità di Aminta, un focoso Filippo Adami. La musica di Galuppi, riletta con pregnanza da Andrea Marcon, penetra finemente nei meandri metastasiani, restituendone la sorprendente modernità attraverso una scrittura vocale e orchestrale dalla sapiente efficacia drammatica, densa di virtuosismi e pregevoli intuizioni timbriche. Essenziale la regia di Dominique Poulange, tesa a valorizzare il dinamismo emotivo innescato dalle diverse polarità caratteriali. Caldo successo. Letizia Michielon | |
Venezia, Teatro Malibran Il 2006 è anno di anniversari, più o meno importanti; tra quelli significativi possiamo senza dubbio collocare i trecento anni della nascita di Baldassarre Galuppi, figlio di quella Venezia che fra la seconda metà del XVII secolo e la prima metà del secolo seguente vide nascere ed operare due generazioni di musicisti che lasciarono un segno assai importante nella storia della musica. Se Pier Francesco Cavalli ed Antonio Vivaldi furono, senza dubbio alcuno, coloro i quali maggior lustro diedero alla Scuola Veneziana per innovazione ed inventiva, il Galuppi, così come fu per i di lui poco maggiori per età Albinoni e Marcello, interpretò il ruolo di onesto musicista attento alle mode ed ai gusti del pubblico, senza brillare mai della medesima luce dei grandi astri ma anche senza mai malfigurare al loro confronto. Saggiamente il Teatro La Fenice, dopo aver dedicato un titolo della presente stagione alla celebrazione di Mozart, ha scelto di celebrare Galuppi proponendo, in prima esecuzione in tempi moderni, la sua "L’Olimpiade", nell’interessante edizione di Carlo Steno Rossi e Franco Rossi. Se il libretto de "L’Olimpiade", redatto dal Metastasio e già intonato dal Caldara nel 1733 e che sarà di nuovo posto in musica da Domenico Cimarosa nel 1785, è un capolavoro per qualità di versi e per equilibrio drammaturgico, seppur manchevole di dinamicità, la musica di Galuppi ci è parsa in ben più di un momento un onesto esercizio ma nulla di più; certo, le arie "di furore" del secondo atto sono davvero rimarchevoli, ma non bastano sempre ad equilibrare l’eccessiva languidezza di quelle elegiache. Non saggia, a nostro avviso, è stata poi la scelta del direttore veneziano Andrea Marcon di eseguire l’opera senza alcun taglio, non tenendo conto che nel XVIII secolo il pubblico aveva un differente modo di fruire lo spettacolo, andando e venendo dal teatro, o dedicandosi, in contemporanea, ad altre attività: le arie sono estenuantemente lunghe ed i recitativi spesso un po’ prolissi; qualche colpo di forbice ai "da capo" avrebbe senz’altro avvantaggiato il pubblico odierno nella fruizione di un’opera tutto sommato gradevole. Lo spettacolo, che si avvale del medesimo allestimento che fu creato in occasione delle recite de "L’Olimpiade" di Cimarosa nel 2001, risulta visivamente piacevole pur nella sua scarna semplicità. La regista Dominique Poulange si limita a far compiere ai vari protagonisti gesti di sobria misura, coerenti alla già citata scarsa dinamicità del libretto, che comunque risultano eleganti ed appropriati. Graziosa la scena, di Francesca Zito, costituita da una sorta di contenitore all’interno del quale si svolge l’azione; eleganti anche i costumi, interessante il light-design. Controverso anche il risultato musicale. Dell’eccessiva lunghezza, più di quattro ore, comprensive di due intervalli, già si è detto; resta da segnalare la concertazione non esaltante di Andrea Marcon, alla testa di una non impeccabile Venice Baroque Orchestra, complici le continue stonature dei corni e di un flauto concertante talora imbarazzante. Migliori novelle sul fronte dei cantanti. Roberta Invernizzi possiede una voce deliziosa per timbro e corretta per quanto attiene all’intonazione ed al fraseggio. La sua Argene è risultata davvero convincente ed ha giustamente meritato gli applausi del pubbico. Brava anche Franziska Gottwald che, nonostante l’annunciata indisposizione, ha prestato al suo Licida agilità solide ed una bella linea di canto. Bene anche il Megacle di Romina Basso, che possiede un buon materiale vocale cui si unisce gusto interpretativo ed ottima adesione al personaggio. Gradevolissima anche l’ Aristene di Ruth Rosique, sicura nell’emissione e solida soprattutto nel registri acuto e sovracuto. Un po’ più in ombra gli uomini. Se Furio Zanasi ci ha pienamente soddisfatto con il suo Alcandro autorevole sia per voce che per caratterizzazione, così come ci ha soddisfatto l’Aminta di Filippo Adami, buon fraseggiatore dagli acuti brillanti, assai meno buona è stata l’impressione ricevuta da Mark Tucker, afflitto da continui problemi di intonazione e da un timbro opaco, complici anche le sue noiosissime arie. Alla fine dell’estenuante kermesse il pubblico ha tributato un successo giustamente dosato tra i vari interpreti. Alessandro Cammarano | |
Baldassare Galuppi L’Olimpiade Außer, dass die Freunde Megacle und Licida an den Olympischen Spielen teilnehmen und die Handlung in der Nähe der Stadt Olympia stattfindet, hat diese Oper nichts mit Sport zu tun. Beide Freunde lieben Aristea, einer möchte für den anderen auf diese Frau verzichten. Sie hingegen liebt den Megacle, eine andere Dame Argene liebt aber den Licida. Aus dieser Situation heraus entstehen jede Menge von Problemen und Verwirrungen, die aber die Freundschaft der beiden nicht zerstören, sondern noch verstärken. Zum Schluss stellt sich heraus, dass Licida der verloren geglaubte Bruder der Aristea ist und so finden zum glücklichen Ende Megacle und Aristea, Licida und Argene zusammen. Dieses Libretto von Pietro Metastasio wurde von vielen Komponisten vertont, u. a. auch von Baldassare Galuppi (geb. 18. 10. 1706 in Burano; gest. 3. 1. 1785 in Venedig), er war zeitweise auch in London und St. Petersburg tätig. Anlässlich seines 300. Geburtstages wurde dieses Werk (1747 für Mailand geschrieben) zum ersten Mal in der Neuzeit wieder aufgeführt. Die besuchte Vorstellung fiel genau auf den 300. Jahrestag. Der Komponist ist eine Generation jünger als Händel und Bach. Man ist unerwartet stark überrascht von der Qualität, Kraft, Dramatik und Schönheit der Oper. Der Rezensent hätte das nie erwartet, so frappiert ist man von der Ausdruckskraft und der melodiöser Erfindungsgabe. Es gibt aber auch empfindsame Arien. Leider kennt man kaum etwas von der Musik jener Zeit, spontan fällt einem eine gewisse, aber deutliche Ähnlichkeit zu Joseph Haydns frühen Werken auf. Ein accompagnato des Megacle im zweiten Akt ist bereits auffallend mozartianisch und stellenweise wie eine Vorahnung des Figaro. Die reine Spielzeit ist etwa 3 ¼ Stunden, lange ziemlich schwierige Arien prägen das Werk. Es gibt nur ein Duett zum Finale I mit Megacle/Aristea und ganz zum Schluss ein Ensemble aller Solisten. Dennoch wird der Abend nie mühsam und fade, wohl auch weil sich alle Ausführenden voll und ganz einsetzten. Dominique Poulange/Regie arbeitete die Beziehungen und Konflikte deutlich heraus. Francesco Zito/Bühne schuf eine eher einfache, aber sehr stimmungsvolle Szenerie und die dem Rokoko nachempfundenen, kleidsamen, schönen Kostüme. Voller Inbrunst und mit nie nachlassender Energie leitete Andrea Marcon das „Orchestra Barocca die Venezia". Man hatte den Eindruck, besser und wirkungsvoller ließe sich diese Partitur nicht realisieren. Ja, man hatte das Gefühl, bisher etwas versäumt zu haben, weil man nichts von Galuppi kannte! Das Freundespaar (eigentlich Kastratenrollen) wurde von Franziska Gottwald/Licida und Romina Basso ganz exzellent gespielt, da aber Letztere indisponiert war, sang im Orchestergraben Manuela Custer den Megacle. Man war völlig begeistert, sie waren grandios, alle gewaltigen sängerischen Herausforderungen erfüllten sie mit vollendeter Bravour. Sie waren phantastisch! Auch von der äußeren Gestalt her, also Figur und Gehaben konnten Gottwald und Basso als junge Männer überzeugen. Diesen beiden standen die beiden Damen nur wenig nach: Ruth Rosique/Aristea und Roberta Invernizzi/Argene. Beide haben einige fulminante, dramatisch-starke Arien zu singen. Sie waren beide sehr viel mehr als nur lobenswert. Die drei echten Herren der Besetzung waren demgegenüber eher unauffällig, aber so weit gut bei Stimme: Marc Tucker/Clistene (Vater von Licida und Aristea); Furio Zanasi/Alcandro und Filippo Adami/Aminta (etwas schrill). Nicht nur für den Rezensenten, auch für das Publikum, war es ein wunderschönes Erlebnis einen, man möchte sagen zu Unrecht vergessenen Komponisten auf so begeisternde Weise kennen zu lernen. Martin Robert BOTZ | |