LA FENICE
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e avvenimenti culturali

Die tote Stadt di Erich Wolfgang Korngold

La Stagione lirica 2009 del Teatro La Fenice si aprirà il 23 gennaio 2009 con la prima rappresentazione a Venezia dell’opera in tre atti Die tote Stadt (La città morta) op. 12 di Erich Wolfgang Korngold. Presentata in contemporanea ad Amburgo e Colonia il 4 dicembre 1920, l’opera fu composta su un libretto di Paul Schott (pseudonimo dello stesso Korngold in collaborazione col padre Julius) tratto dal romanzo Bruges-la-morte dello scrittore simbolista belga Georges Rodenbach.

Regia, scene e costumi del nuovo allestimento prodotto dalla Fondazione Teatro La Fenice in coproduzione con la Fondazione Teatro Massimo di Palermo, saranno firmati da Pier Luigi Pizzi. Eliahu Inbal, direttore musicale della Fondazione, sarà alla testa dell’Orchestra e del Coro del Teatro La Fenice, coadiuvato dal direttore del Coro Claudio Marino Moretti. Interpreti principali dell’opera saranno il tenore tedesco Stefan Vinke nel ruolo del giovane vedovo Paul, il protagonista, il soprano norvegese Solveig Kringelborn nel ruolo della ballerina Marietta, straordinariamente somigliante alla moglie scomparsa di Paul, Stephan Genz nel ruolo di Frank, amico di Paul; Christa Mayer nel ruolo di Brigitta, governante; Eleonore Marguerre nel ruolo di Juliette, ballerina; Julia Oesch in quello di Lucienne, ballerina; Shi Yijie in quello di Victorin, regista; Stephan Genz nel ruolo di Fritz, Pierrot e Mathias Schulz nel ruolo di Conte Albert.

L’opera, presentata in lingua originale con sopratitoli in italiano, avrà quattro repliche, il 25, 27, 29 e 31 gennaio 2009.

Secondo figlio del critico musicale Julius (Brno 1860 – Hollywood 1945), Erich Wolfgang Korngold (Brno 1897 – Hollywood 1957) nacque in Moravia ma fu educato a Vienna. Allievo di Zemlinsky e enfant prodige, fu oggetto dell’ammirazione di Mahler e idolatrato dal pubblico dell’epoca. A partire dal 1934 si trasferì negli USA per collaborare con l’industria cinematografica e tornò in Austria solo dopo la guerra, dove però il mondo culturale del tempo, ormai rivolto all’avanguardia di Darmstadt, gli riservò ben poca attenzione. L’ultima decade della sua vita fu dedicata a pezzi strumentali da concerto, con temi talora tratti dalle sue colonne sonore (Concerto per violino, Serenata sinfonica per archi, Concerto per violoncello e Sinfonia).

Dopo il balletto Der Schneemann (Il pupazzo di neve), con cui il compositore tredicenne esordì all’Opera di Vienna nel 1910, e i due atti unici L’anello di Policrate e Violanta diretti da Bruno Walter alla Staatsoper di Monaco nel 1916, Die tote Stadt è la quarta e più celebre opera di Korngold. Essa è nata da un suggerimento di Siegfried Trebitsch, che aveva di recente tradotto il dramma Le mirage (non rappresentato) di Georges Rodenbach, adattamento dal proprio romanzo Bruges-la-morte (Bruges la città morta) (1892). Il giovane compositore stese velocemente il libretto di un atto unico, ma Hans Müller, autore del libretto precedente Violanta, lo convinse a trasformarlo in un’opera in tre atti. Poiché Müller non riuscì a seguire la stesura questo lavoro, il libretto fu scritto da Korngold e da suo padre e firmato con lo pseudonimo Paul Schott (il nome del protagonista e il cognome dell’editore del compositore). Composta tra il 1916 e il 1920, Die tote Stadt fu rappresentata contemporaneamente allo Stadttheater di Amburgo (direttore Egon Pollack) e allo Stadttheater di Colonia (direttore Otto Klemperer) il 4 dicembre 1920 e accolta da uno straordinario successo. Alla prima rappresentazione parteciparono cantanti di alto livello come Maria Jeritza, Lotte Lehmann, Richard Tauber e Richard Mayr. Nel decennio successivo fu rappresentata più volte in tutta Europa e in America.

La fonte del libretto, Bruges-la-morte, è un componimento di ispirazione simbolista che mostra l’influsso di Maeterlinck e Poe e racconta un sogno in cui morte e decadenza sono gli elementi principali. L’immagine della città morta non è solo uno sfondo ma una presenza viva, una protagonista che controlla e determina le azioni di coloro che vivono in essa. I Korngold ridimensionarono questo elemento, fortemente presente nel romanzo di Rodenbach, conferendo all’azione maggior realismo e caratterizzazione drammatica.

La vicenda si svolge a Bruges alla fine dell’800. In seguito alla morte dell’adorata moglie Marie, Paul trasforma una stanza della casa in un tempio a lei dedicato. Nella città decadente incontra una ballerina, Mariette, venuta in città per una rappresentazione teatrale, dai tratti estremamente somiglianti alla moglie defunta. Con Mariette Paul vive una notte d’amore ma anche un incubo, in cui la nuova arrivata profana i ricordi più preziosi della donna amata e irride i sentimenti del vedovo. Quando Mariette ritorna a casa di Paul per riprendersi l’ombrello e le rose che aveva dimenticato, Paul decide di non rivederla ma anche di lasciare Bruges, la città morta, e infine pare interrogarsi sull’utilità, per i vivi, di amare troppo i morti.

Uno dei migliori orchestratori del suo tempo, Korngold seppe sfruttare le risorse di compagini orchestrali estremamente ampie, sul modello di Richard Strauss. La scrittura vocale offre grandi opportunità agli interpreti ed è accuratamente intessuta con il discorso orchestrale. Più che in temi ampi il materiale musicale, in stato di costante fermento, è organizzato in brevi, intensi motivi: aspetto unificante è l’intervallo di quarta (e il suo inverso, la quinta), la cui ricorrente presenza allude al passato e all’onnipresenza della città morta.

 

la Nuova di Venezia
21 gennaio 2009

SPETTACOLO
"Città morta" e cinematografica
Mirko Schipilliti

VENEZIA. Chi era Erich Wolfgang Korngold? Compositore austriaco quasi dimenticato, si affermò ventitreenne, dopo la prima guerra mondiale, con La città morta (Die Tote Stadt), ammiratissimo da Puccini e Mahler, bambino prodigio che dagli anni ’30 in poi fece fortuna negli Stati Uniti firmando colonne sonore di successo per il cinema di Hollywood, fino a vincere due Oscar. Dal 23 gennaio, la Fenice mette in scena La città morta (1920), regia di Pier Luigi Pizzi e bacchetta di Eliahu Inbal, lampo di genio, portando riferimenti non solo al simbolismo, ma all’Interpretazione dei sogni di Freud e al clima di decadenza e "tramonto dell’Occidente" che sublimava agli inizi del ’900, costituendo un momento di riflessione su un periodo di cambiamenti radicali. "E’ la prima volta che metto in scena quest’opera. - spiega Pizzi - Non la conoscevo, ma mi è piaciuta moltissimo. Mi ha aiutato ad ambientarmi il romanzo Bruges-la-Morte di Georges Rodenbach da cui è tratta, in un clima di simbolismo belga, anche rifacendomi alla corrente pittorica di Knopff".

Cosa la colpisce di più?

"Ho trovato punti in comune e continuità con Morte a Venezia di Britten, realizzata di recente alla Fenice. La città morta porta tante riflessioni nate durante quell’allestimento, con analogie legate non solo all’ambientazione (qui la città sull’acqua è Bruges), ma perché la città è di per sé protagonista, vi sono una figura maschile principale, l’idea di precarietà e affondamento, la nebbia, l’appartenenza a un mondo di sogno ("A Venezia il sogno ti conduce", cantano nel secondo quadro), il non stare nella realtà comune ma l’essere un luogo della mente".

In Korngold c’è però un’autentica dimensione onirica

"Il sogno, incubo o delirio dell’opera fa sì che tutto si svolga nella stanza-sacrario dedicata alla defunta moglie di Paul, il protagonista, il resto è morte e silenzio. Paul è morboso, paranoico, maniaco dell’ordine, per cui tutti i particolari stanno in scena secondo un rituale mortuario. Solo la soppressione dell’incubo con il risveglio restituisce pace chiudendo il passato in uno scioglimento autoterapeutico. Ma non sappiamo se è definitivo o temporaneo, ambiguità che rende l’opera molto fascinosa, dramma della solitudine senza speranza. La città morta potrebbe essere anche l’Europa, che Korngold abbandona prima della seconda guerra mondiale, come Paul abbandona Bruges per non affondarvi".

Vi sono allusioni al futuro di compositore per il cinema?

"La musica è molto descrittiva, evocativa di situazioni e stati d’animo, caratteristiche che mi sono servite per raccontare la vicenda in modo cinematografico (l’uso di dissolvenze) soprattutto per quanto riguarda ciò che appartiene alla dimensione del sogno, separata in un altro spazio e legata all’acqua, ma senza mai ricorrere a proiezioni".

 

la Nuova di Venezia
22 gennaio 2009

CRONACA
Pizzi fa pace con la Fenice: "Lo sciopero contro i tagli? Sacrosanto"

Note più tranquille, ma ancora vestite di viola, alla Fenice. All’alba della nuova stagione musicale, il regista e scenografo Pier Luigi Pizzi fa ancora marcia indietro sulle dichiarazioni rilasciate lo scorso novembre. E ieri, col sovraintendente Giampaolo Vianello, ha reso pubblico il suo incontro di riappacificazione con i rappresentanti dei lavoratori del teatro. Allora Pizzi aveva duramente attaccato le maestranze della lirica, auspicando anche a licenziamenti collettivi. In particolare, si era rivolto agli scioperanti della Scala che, per protestare contro i tagli agli enti lirici, avevano annullato le ultime recite della Vedova Allegra. Per questo i lavoratori della Fenice avevano chiesto ai vertici del teatro di interrompere i rapporti con il regista, arrivando a definirlo "ospite indesiderato" per la messa in scena di Die Tote Stadt di Korngold. Che domani, invece, a sua firma, inaugurerà l’apertura della stagione.

"La mia dichiarazione è stata strumentalizzata, usata contro le mie intenzioni", ha affermato il regista. Che insiste nel dire di non aver mai inteso pronunciarsi contro l’intera categoria dei lavoratori dello spettacolo, con la quale ha anzi "rapporti quotidiani pacifici e costruttivi da sessant’anni". Riguardo allo sciopero: "E’ un diritto sacrosanto di ogni lavoratore, l’unica sua arma di difesa: è giusto e non merita sanzioni".

Non molto soddisfatto resta Marco Trentin della Rsu Cgil, secondo il quale quanto comunicato da Pizzi non va a smentire le sue dichiarazioni novembrine: "Lo sciopero serve spesso, e in buona parte, anche a salvare le poltrone prestigiose". Punto di accordo resta comunque la tragicità del tagli pubblici agli enti lirici italiani. Per la Fenice significano oltre 5 milioni di euro in meno di contributi in bilancio e l’impossibilità pratica di programmare la prossima stagione, così come già concepita. Il sovrintendente Vianello ha fiducia nel reintegro delle risorse del fondo unico per lo spettacolo, per il quale il ministro ai Beni Culturali Sandro Bondi ha annunciato impegno, ma che, di fatto, si scontra con il "niet" di Tremonti. Come per il concerto di Capodanno, appuntato al programma dell’opera Die tote Stadt, domani ci sarà un fiocco viola: il pubblico sarà invitato a indossarlo in segno di protesta. (s.z.)

 

il giornale della musica
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Opera al Bruges
La Fenice di Venezia inaugura con Die Tote Stadt di Korngold, parla il regista Pierluigi Pizzi

ENRICO BETTINELLO

Con tutte le perplessità che la attuale situazione di tagli ai finanziamenti pubblici comporta (e annesse polemiche), prende il via la nuova stagione lirica del Teatro La Fenice di Venezia, con un cartellone che cerca di superare l’impasse generale proponendo ben sei nuove produzioni delle nove previste, spingendo sul versante della coproduzione e affi ancando ai soliti titoli anche una prima assoluta di Claudio Ambrosini in ottobre, la prosecuzione del Ring dell’accoppiata Carsen/Tate e alcune opere per nulla scontate come Šàrka di Janaček o Die Tote Stadt di Erich Wolfgang Korngold, cui spetta il compito di aprire il programma, con cinque rappresentazioni dal 23 al 31 gennaio.

Si tratta di un nuovo allestimento della Fenice in coproduzione con il Teatro Massimo di Palermo, che vedrà la direzione di Eliahu Inbal assieme alla regia, scene e costumi di Pierluigi Pizzi, che incontriamo nella sua splendida casa veneziana, reduce dall’allestimento del Vampiro di Marschner a Bologna.

"Die Tote Stadt è un’opera che ha un po’ subito la stessa vicenda del Vampiro, scomparendo per diverso tempo dalla programmazione dei teatri, come capita ciclicamente ai lavori di repertorio tedesco o austriaco, ma come è capitato anche a Rossini e Donizetti. Ho quindi accettato volentieri la proposta del direttore artistico Ortombina di aprire la stagione con questo titolo, anche perché si crea così una sorta di ponte ideale con il mio recente allestimento di Death in Venice di Britten".

Quali le affinità tra i due lavori?

"Pur nell’evidente diversità espressiva, entrambe le opere sono legate alla città, rispettivamente Venezia e Bruges, e attraversate da elementi quali acqua, morte, decadenza, silenzio. In Die Tote Stadt il protagonista Paul, giovane vedovo, crede di rivedere la moglie defunta in una giovane ballerina e il senso della morte che lo pervade è quello dell’intera città, quasi il sintomo di un malessere collettivo, di una tensione drammatica e ideale alla bellezza. In questo il rapporto tra acqua, solitudine e mistero fa del lavoro di Korngold un’opera enigmatica e poetica, che trovo di grande modernità".

Come affronterà dunque l’aspetto registico di quest’opera?

"Si tratta di una drammaturgia complessa, molto dettagliata e la scelta di un taglio simbolista mi permette di accostare Bruges a Venezia, fondendole in un luogo mentale e poetico.In tal modo proseguo una ricerca sul teatro attraverso opere contemporanee di alto contenuto lirico che, come questa, mi attraggono molto. Dal punto di vista cromatico, sia Venezia che Bruges sono città in cui dominano i toni del grigio, madreperlacei e caliginosi, come nei quadri di Whistler o di Sargent; anche nel testo da cui è tratta l’opera, il romanzo Bruges-la-morte di Rodenbach si fa ripetutamente riferimento a questi grigi, che accentuano il senso della solitudine".

Nella vita di Paul irrompe però Mariette ...

"Mariette ha ovviamente una sua vitalità colorata, ma Paul non la vede, non la capirà mai, chiuso nel suo egoistico ideale di rivedere in lei l’amata defunta. Ho scelto un’ambientazione accentuatamente simbolista perché mi sembra importante non cedere al realismo in opere d’alto contenuto poetico. I personaggi agiscono in un dispositivo scenico rarefatto in cui risaltano pochi elementi, l’acqua, la nebbia, l’aria".

Dopo Venezia, l’allestimento andrà anche al Teatro Massimo di Palermo, nell’intenzione di ottimizzare al meglio gli sforzi produttivi e sulle attuali difficoltà del Teatro d’Opera, il Pizzi ha le idee abbastanza chiare: "Dobbiamo cercare di uscire da questa nebbia, ma sono convinto che occorra più coraggio. È inutile prorogare con palliativi una situazione economicamente insostenibile. La classe politica sembra mostrarsi insensibile ai problemi del teatro lirico. Perché ad esempio non decidersi a varare l’auspicata legge sulla defiscalizzazione dei finanziamenti privati, che incoraggerebbe il Mecenatismo?".